L'articolo di Ichino non è comparso su una rivista per spensierati marinaretti
o quale rebus matematico nella settimana enigmistica.

Il controllo sugli statali?
E' compito dei dirigenti.

Laura Sambuelli * da il Manifesto del  3/9/2006

 

Nella società di consumismo in fase avanzata e delirante, anche le parole ed il loro senso vengono consumate a ritmi vertiginosi. Una tendenza più volte rimarcata è quella di inghiottire sempre più la distinzione fra bene e male, fra corretto e non corretto: il politicamente utile è tale se fa discutere - vi sono stati tempi in cui quando il livello della polemica era basso, troppi i luoghi comuni, era meglio lasciare perdere; oggi è diverso, siamo alle difese estreme del pensiero liberale, della cultura del diritto, della democrazia, siamo in tempi ultimi: di denuncia.

L'articolo di Ichino non è comparso su una rivista per spensierati marinaretti o quale rebus matematico nella settimana enigmistica. In quell'articolo, come dice il segretario generale Fp-Cgil, Carlo Podda, sul Manifesto, il riferimento è a criteri di rappresaglia (l'un per cento dei fannulloni da licenziare) e il principio secolare del diritto alla difesa viene ridotto alla delazione (non ti licenzio se me ne indichi uno più all'indice di te). Politicamente scorretto, e pure riescono a vantarsene.

Sulla medesima polemica interviene il quotidiano Europa: parla di numeri, e la percentuale dei dipendenti pubblici nelle pubbliche amministrazioni sembra essere in linea con il resto del continente. Qualcosa non va, l'attenzione va spostata allora alle «disfunzioni di tipo organizzativo» - un lettore del Corriere parla tout court di pesce che puzza dalla testa. Si difende un metodo, quello della privatizzazione e dell'efficienza, dalle riforme Amato-Cassese a quelle Bassanini; il problema è una loro concreta e giusta applicazione all'interno delle singole amministrazioni.

Sulla polemica si esprime anche il premier, giungono le voci di un'ennesima «commissione indipendente» chiamata a controllare i fannulloni. Il premier non vuole abolire il sindacato, corregge il tiro: sul sindacato va fondato il diritto alla difesa. Non mancano le statistiche e le percentuali. Il Corriere del 31/08/2006, titola: «Statali, larghe intese antifannulloni. Il 70% degli italiani, sia a destra che a sinistra, favorevole al licenziamento». Come ai tempi dei telegiornali negli anni '80, quando per sapere qualcosa sull'Unione Sovietica s'intervistava la casalinga della steppa o il contadino nella bruma. Si potrebbero spendere dei soldi per creare una commissione indipendente, e allora quali poteri potrà avere una «commissione di controllo»? Quali i poteri da conferire al «grande occhio», quale la dialettica sindacale e i costi per i contenziosi?

Il giuslavorista Treu risponde per primo ad Ichino, e dice: gli strumenti del controllo esistono, basta usarli - e quante volte abbiamo udito questa frase dai tecnici del diritto. Quale normativa vieterebbe, in piena privatizzazione del pubblico impiego, l'indagine del datore di lavoro sulla effettiva resa del singolo dipendente? Solo la normativa sulla legittimità e i limiti di tale controllo. Perché è anzi preciso dovere e compito del dirigente valutare la qualità e la quantità dei servizi resi dal suo dipendente. Nel 2003, il legislatore ha fatto una precisa scelta di campo e con il comma «o» dell'articolo 112 del Codice di tutela dei dati personali, emanato con d.lgs. 196/2003, ha detto che al datore di lavoro pubblico - il dirigente - è consentito il controllo, la conservazione e il trattamento dei dati personali del dipendente, ma solo quelli che afferiscono al suo rendimento: la lettera del codice parla di «risultati conseguiti».
Il controllo è legittimato e consentito, rientra anzi fra i doveri della dirigenza, cui la normativa in tema di privacy, unico possibile ostacolo, ha già spalancato le porte. Con il processo di informatizzazione che la pubblica amministrazione ha attuato non dovrebbe essere neppure difficile. E' vero, si può obiettare, il Codice della privacy non è lettura da spiaggia.

La polemica sulla rappresaglia fascista del licenziamento in proporzione numericamente precisa al 1%, va allora rapportata ai «sistemi di valutazione» nella pubblica amministrazione (gli articoli 51 e 97 della Costituzione ne regolano l'accesso: il criterio è quello del pubblico concorso, nonché della selezione dei migliori). Sui sistemi di valutazione si sofferma giustamente l'articolo di Europa del 30 agosto 2006, ma non vogliamo turbare i delicati equilibri della «metafisica del non corretto» entrando addirittura nei meandri della contrattazione integrativa (chi era costei?) e non annoieremo oltre. Per quel restante si possono consigliare sull'argomento gli articoli di Valerio Talamo, dirigente alla funzione pubblica.

Ma, più dettagliatamente, sappiamo che un concreto sistema di valutazione del personale nelle pubbliche amministrazioni è già stato adottato - per la prima volta e con investimenti rilevanti - per l'intera popolazione. Secondo criteri di supposta efficienza e neutralità privatistica, è addirittura operativo in una amministrazione particolare: l'Inail. Sarebbe molto interessante seguirne da vicino gli sviluppi, i costi, le strutture e le finalità. Così, tanto per per uscire da una polemica fatta coi luoghi comuni, e poter valutare realmente le scelte in atto nella pubblica amministrazione in tema di politica e amministrazione del personale.

 

* Dott.ssa di ricerca