Gli alibi fra i banchi.

di Paola Mastrocola, La Stampa  del 28 settembre 2006

 

Tagli alla scuola. Annunciati, ritrattati, confermati, smentiti... non importa. Si parla di tagli, ed è subito rivolta, minaccia, scoramento.

Già. Questo governo ci aveva detto che la scuola gli stava molto a cuore e ora guarda cosa ci combina. Se volessimo fare un discorso alto e quasi sublime, diremmo che il segnale non è bello: ci piace poco che proprio questo governo implicitamente ci dica che sulla scuola - ovvero sulla formazione dei giovani che sono, con un'espressione certo vieta ma molto efficace, il futuro del nostro Paese - non vuole investire. Ma lasciamo da parte il sublime. Taglio di risorse vuol dire posti di lavoro in meno. Un minor numero di insegnanti e dunque un minor servizio reso agli allievi. Automaticamente il cittadino traduce: la scuola va a rotoli, era già malata, ora sarà in fin di vita. Offriva poco, ora offrirà ancor meno.

Se andiamo a guardare bene, però, nelle tabelle e nelle percentuali, non è che l'Italia riservi così pochi soldi alla scuola: l'incidenza della spesa per l'istruzione sul Pil è più o meno nella media europea. Ma, dato ancor più sconcertante, l'Italia riserva moltissimo alla scuola in termini di insegnanti, siamo ai vertici della classifica: un insegnante ogni 11 allievi! Abbiamo davanti a noi solo la Danimarca.

Ammetto di avere poca dimestichezza con dati e tabelle, ma facendo ancora un piccolo sforzo e tornando con la memoria ai dati dei test internazionali Pisa, cioè quei test che misurano le capacità dei ragazzi di ogni singolo Paese in materie quali la matematica e la comprensione dei testi ovvero la lettura, ricordo che lì invece siamo agli ultimi posti: abbiamo dietro di noi solo la Grecia. E come se non bastasse, i test nazionali dell'Invalsi ci rivelano che le performances dei nostri allievi peggiorano drasticamente quando si passa dalle elementari alle medie e dalle medie alle superiori. Come a dire che più anni studiano, meno imparano.

Ricapitolando, siamo tra i primi come numero di insegnanti, e siamo tra gli ultimi nella scala dell'apprendimento. Bel risultato davvero! Dicendolo in parole ancora più semplici: impieghiamo tantissimi insegnanti e sforniamo pochissimi allievi preparati. Ovvero, con il massimo di "forza lavoro docente" otteniamo il minimo di risultati.

Per una volta, vorrei non fare il solito mio discorso sul valore culturale altissimo che la scuola dovrebbe avere. Non parlerò di letteratura, e del solito Dante, bensì… di bieca produttività! Credo che la scuola oggi possa, ahimè, vantare una bassissima produttività: costa abbastanza e produce poco.

Certo, sarebbe drammatico se ora il governo tagliasse le risorse. Ma, lasciando da parte i pur dirompenti problemi che riguardano stipendi e occupazione, credo che la scuola adesso debba soprattutto interrogarsi sulla sua scarsa produttività. Io non penso che, aumentando il numero dei docenti o il loro stipendio, aumenterebbe la qualità dell'insegnamento e quindi la preparazione dei nostri allievi. Non lo penso affatto. E temo, anzi, che il discorso economico possa servire ancora una volta da alibi e assolva ancora una volta tutti: se la scuola non funziona, è perché lo Stato non le riserva adeguate risorse finanziarie. Punto. Quindi, possiamo tutti allegramente continuare a non far funzionare un bel niente, tanto non dipende da noi.

Come insegnante, io certo sono desolata che l'attuale governo tagli posti e non conceda aumenti, ma devo anche e soprattutto interrogarmi sul mio lavoro, ovvero sui risultati che ottengo; a me preoccupa che un mio allievo, uscito dalla mia classe, non sia in grado di passare i test di ammissione a una facoltà universitaria, non abbia gli strumenti per completare fino alla laurea il suo corso di studi, e infine possa non trovare lavoro per scarsa preparazione. Mi importa molto il rapporto tra i risultati ottenuti e le risorse impiegate per ottenerli. E soprattutto mi chiedo come tale rapporto possa essere così negativo. Colpa degli insegnanti, sempre più indottrinati di pedagogichese e sempre meno preparati nelle loro materie? Colpa degli allievi, sicuri che tanto poi, colmati o no i benedetti debiti, andranno sempre e comunque avanti, trainati da un'eterna e bonaria scuola-slitta? Colpa dei genitori che chiedono solo che i figli siano promossi e felici?

Urge, mi pare, un esamino di coscienza.