Obbligo a 16 anni: come leggere la finanziaria. di Maurizio Tiriticco da Fuoriregistro del 17/10/2006
Giovanni Scaminaci sul numero 16 di "Azienda Scuola" analizza molto puntualmente i commi 1 e 2 dell'articolo 68 del Ddl della finanziaria 2007 relativi all'elevamento a 16 anni dell'obbligo di istruzione e rileva come e perché non si comprenda con chiarezza quale sia il progetto dell'Unione in materia. E' vero che l'articolato - trattandosi di linee di indirizzo più che di progetto in senso stretto - può dar luogo ad interrogativi. Io ho provato a darne una lettura diversa, in positivo. Dall'articolato si evince che elevare l'obbligo di istruzione a 16 anni è soprattutto un dovere civile e culturale. In effetti, sarebbe anche opportuno - come sostiene la flc-cgil - che l'obbligo di istruzione giungesse fino a 18 anni, anche in tempi non brevi. In effetti, nella società della conoscenza, in ordine all'evoluzione dei saperi, delle tecnologie e della flessibilità che sempre più si afferma nei processi lavorativi e nella organizzazione del lavoro - senza dimenticare, ovviamente, i risvolti negativi della precarietà che vanno comunque combattuti - siamo tutti "obbligati" ad apprendere per tutta la vita, se non vogliamo rischiare di essere espulsi dal lavoro e dagli stessi diritti di cittadinanza. Oggi acquisire sempre più in literacy, numeracy e problem solvine costituisce un passaggio obbligato e continuo per crescere tutti intellettualmente e professionalmente ... non uno di meno, come ieri il leggere, scrivere e far di conto costituiva il passaggio obbligato perché i più acquisissero il minimo per ... il si salvi chi può! E' chiaro che l'attuazione di un obbligo di istruzione lungo richiede tempi lunghi e coordinati con altre iniziative (dalla Fts all'Eda e all'Università, ecc). Ora dobbiamo procedere in tempi brevi per il biennio unitario, articolato e fortemente orientativo fino ai 16 anni. Ho sempre espresso la preoccupazione che mandare tutti i quattordicenni nei bienni così come sono organizzati oggi (salvo alcune eccezioni) significa esporli solo a sonore bocciature e ad incrementare la dispersione. A mio avviso, occorrono, invece, i seguenti punti fermi: a) se vogliamo istituire un biennio unitario, articolato e fortemente orientativo, occorre individuare, da un lato, materie comuni forti ed esaustive in ordine al raggiungimento dei saperi essenziali per proseguire gli studi e per accedere con consapevole responsabilità nel sociale e nel mondo del lavoro, dall'altro materie di indirizzo orientanti. Vanno studiati i rapporti tra i due ambiti e le modalità dei passaggi tra le materie di indirizzo per le necessarie azioni di riorientamento; b) il MPI (in riferimento all'art. 8 del 275/99 e al Titolo V - più che all'art. 17, c. 3 della legge 400/88, citato dall'articolo 68, c. 1 del ddl sulla finanziaria) dovrebbe riuscire una buona volta a individuare, indicare, definire, descrivere, declinare e aggiornare periodicamente gli standard delle competenze di uscita dell'area delle discipline comuni e gli obiettivi di massima delle aree di indirizzo che i nostri sedicenni sono tenuti a raggiungere (e a conoscere preventivamente in sede di contratto formativo, ex dpcm 7 giugno '95); c) agli istituti di istruzione, nella loro autonomia, spetta come progettare i curricoli finalizzati agli standard e agli obiettivi di indirizzo, opportunamente curvati e implementati in ordine alla specificità delle situazioni, e come avvalersi di tutte le valenze e le risorse culturali, educative, istruttive nonché formative, che il territorio offre; d) solo in tale contesto debitamente normato si può prevedere che le istituzioni scolastiche giungano ad accordi con la FPR e con gli enti erogatori al fine di rafforzare con attività laboratoriali (in senso lato) i percorsi istruttivi, ma a due precise condizioni: 1) che la titolarità dei percorsi sia sempre dell'istruzione; 2) che gli enti erogatori di cui avvalersi siano debitamente certificati in ordine al fatto che sono in grado di riconoscere il valore istruttivo degli standard nazionali del biennio e di garantire contributi formativi e culturali in linea con essi; e) fatti salvi questi principi, i punti 1 e 2 del citato articolo 68 sono condivisibili, ma solo dopo una debita operazione di curvatura e riscrittura che spetterà al legislatore e agli esperti; f) al termine del biennio si deve procedere all'assolvimento dall'obbligo con una certificazione delle competenze effettivamente acquisite dall'obbligato; tale certificazione mirata e circostanziata permetterebbe anche emettere il superamento del proscioglimento dall'obbligo di istruzione. Questa della certificazione sarà una partita tutta da giocare, stante l'incultura del nostro sistema di istruzione in materia! Basti solo pensare alla beffa degli esami di Stato! Sono ormai quasi dieci anni che dovremmo essere passati dal giudizio di maturità alla certificazione delle competenze, ma queste competenze, per una carenza macroscopica della normativa (si veda l'attuale modello di diploma) non sappiamo ancora quali sono, per cui non siamo in grado di certificarle! Qui un grafico che visualizza il processo di innovazione in cui sono considerati sia il sistema di istruzione che quello dell'istruzione e formazione professionale. |