La Finanziaria incentivi la qualità negli Atenei

Aldo Schiavone, la Repubblica del 19/10/2006

 

Per l´Università, questa è un´ennesima finanziaria triste, nonostante qualche spiraglio e qualche luce, che si intravedono assai più nella parte "normativa", che nelle cifre. E ci dovrà pur essere un ragione se tutte le forze politiche, in campagna elettorale o dall´opposizione, giurano sulla centralità della ricerca e della formazione superiore per il destino del Paese, ma poi, una volta al governo, puntualmente se ne dimenticano, in una mai smentita solidarietà nella continuità, da una maggioranza all´altra. "Maiora premunt": al momento giusto, c´è sempre ben altro cui dare la precedenza. E temo che se la cercassimo davvero, quella ragione, ne uscirebbe fuori un bel pezzo dell´"ideologia italiana" che ci accompagna e ci guida da molti decenni, o, per dirla in altro modo, della cultura di governo del nostro ceto politico, ivi compresi i fior di professori che ne fanno stabile parte.

Non mi riferisco solo alla quantità delle risorse previste: che naturalmente conta molto, e ci mancherebbe altro. Quello che manca innanzitutto nella Finanziaria 2007 è un´idea forte di Università; un progetto, una linea, una scala di priorità, come ai tempi del mai abbastanza compianto Ruberti. Ed è questo che ci aspettiamo dal ministro Mussi: l´indicazione di un percorso, il disegno di un quadro – non a parole ma attraverso provvedimenti coerenti – intorno a pochi punti chiave: accesso; merito; autonomia; responsabilità.

Le cifre, è inutile ripeterlo, sono risicate assai: l´Italia è sensibilmente al di sotto della media Ocse nel finanziamento pubblico all´Università: O,88 del Pil, contro l´1,2, che è comunque un valore non esaltante, se confrontato con il 2,6 degli Usa (tenuto anche conto degli investimenti privati), o con il 3 del Nord Europa. La Finanziaria 2007 non accenna nemmeno a correggere questa tendenza (mentre, ad esempio, la Francia sta correndo ai ripari, e progetta di aumentare nei prossimi anni del 50 per cento – è scritto bene: del 50 per cento – le risorse da destinare ai propri Atenei). Aumenta di pochissimo la dotazione del cosiddetto Fondo di finanziamento ordinario, e cioè le risorse cui le Università attingono per la gestione corrente: da 6950 milioni a 7014 (dello 0,95%). Mentre rimane l´obbligo stabilito dal Decreto Bersani secondo cui le Università dovrebbero restituire allo Stato nel 2007 il 20% di quanto indicato nel bilancio di previsione per le "spese intermedie"(affitti, luce, acqua, pulizia, biblioteche, ecc.) – una richiesta sulla cui gravità ha già detto cose sacrosante Guido Trombetti, nuovo presidente della Crui (l´associazione dei Rettori italiani) – e vengono drasticamente ridotti gli scatti biennali del personale docente (in assenza di contratto).

Meglio vanno le cose per quanto riguarda i fondi per la ricerca, con aumenti di un certo rilievo nel prossimo triennio, con la maggiore trasparenza della loro gestione (un campo dove il ministro ha agito con tempestività e chiarezza) e con il programma di assunzioni di nuovi ricercatori.

Ma la questione, adesso, non è di completare questa non entusiasmante rassegna di molte ombre e di poco sole. Lamentarsi non basta. Bisogna cercare le risposte giuste. E chiedersi se non vi sia ancora lo spazio per una proposta che vincoli la richiesta di fare qualcosa di più per l´Università all´obiettivo di un´innovazione di metodo e di sistema, pur nell´attuale quadro di ristrettezze. Non l´ennesima richiesta di un finanziamento al buio, destinato a una redistribuzione opaca, per quanto legittimo; ma qualcosa che incida, e lasci il segno. A me pare che questa possibilità esista. Ed ecco il suggerimento.

Il collegato alla Finanziaria (art.36) prevede l´istituzione di un´Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, al posto degli attuali due comitati ministeriali. Si tratta di una scelta ottima, che conclude una fase di gestazione relativamente lunga, e che crea finalmente un soggetto che dovrebbe operare in modo istituzionalmente indipendente sia rispetto al potere politico, sia a quello accademico, per misurare le performance scientifiche e didattiche delle università. Si tratta di un passaggio essenziale, che supera il mito di una falsa e distorcente eguaglianza fra tutti gli Atenei, e potrà spingere le Università verso la differenziazione e la competizione, legando l´autonomia alla responsabilità, in un meccanismo che (come dicono gli esperti) simuli il mercato, pur all´interno di un sistema pubblico, e che tale deve rimanere.

Fin qui tutto bene. E´ evidente però che, per incidere davvero, le valutazioni di questa Agenzia dovranno produrre conseguenze tangibili, e che esse non potranno che riguardare l´allocazione delle risorse: in uno spirito fortemente premiale, di incentivi a chi fa meglio. Ma come realizzarlo, se i fondi attuali garantiscono a malapena la sopravvivenza, e non consentono margini di manovra – non sono cioè spostabili da un Ateneo all´altro senza conseguenze dirompenti – se non in quantità trascurabili?

E qui scatta la proposta: ogni somma ottenuta in più, rispetto a quanto oggi previsto in Finanziaria, sia destinata esclusivamente ad alimentare il fondo di premi e di incentivi di cui potrà disporre la nuova Agenzia. Nuove risorse sì, ma solo per finanziare la qualità, accertata in modo costante e rigoroso: con un piccolo sforzo economico – compatibile con la filosofia e i numeri del risanamento – si otterrebbe un risultato di sostanza e d´immagine di grande rilievo in un settore decisivo per il futuro del paese; una risposta non da poco alla diffusa opinione (lasciamo stare quanto infondata) di chi si figura il mondo universitario come un inguaribile luogo di corporativismi, di clientele e di sprechi, dove ogni taglio va sempre bene.

Ne saremo capaci? E i ministri Padoa Schioppa e Mussi vorranno darci una mano?