Fioroni: così sarà l'obbligo.

 Il Sole 24 Ore del 21 novembre 2006 .

 

Ci sono diverse ragioni, tutte importanti, per introdurre - nel quadro del "diritto-dovere"- un obbligo di istruzione di dieci anni. E per prevedere, come fa l'articolo 68 della Finanziaria, che i due anni successivi alla scuola media possano articolarsi in percorsi "in grado di prevenire e contrastare la dispersione": connotati, quindi, da attività e metodologie che, valorizzando l'apprendimento in contesti operatici e la didattica per compiti, riconoscano la pluralità delle intelligenze, degli stili cognitivi, delle propensioni.

Si tratta, in sintesi, di assicurare a tutti i 14-16 enni, anche quelli che già nel primo ciclo hanno accumulato insuccessi e demotivazione, un tempo sufficiente per consolidare le competenze di base e per maturare quegli strumenti informativi e quelle capacità di scelta dei percorsi successivi con tutta evidenza impossibili a 13-14 anni. Non un biennio unico ma unitario, dunque, che dia ai ragazzi una preparazione e un orientamento con riscontri concreti delle loro potenzialità e delle loro aspirazioni di vita adulta e professionale: che a quell'età già ci sono, pur nella società dell"adolescenza protratta", e che devono essere messe alla prova, anche se un sistema educativo non può mai considerarle irreversibili. La diversificazione, i processi di integrazione, la modulazione dell'offert sulla specificità dei bisogni non devono spaventare visto che si prevedono obiettivi di preparazione equivalenti.

Sarebbe al contrario controproducente - e soprattutto inutile quando il passaggio alla scuola superiore dei licenziati della scuola media raggiunge, come oggi, il 98% - un prolungamento dell'istruzione obbligatoria che non si facesse carico dei troppi ragazzi che, insofferenti o distanti dalle forme tradizionali di trasmissione del sapere, sono a maggior rischio di insuccesso e di abbandono.

tutto ciò porta anche ad innalzare dai 15 ai 16 anni l'età di ingresso al lavoro, rivedendo quindi l'apprendistato formativo: un orientamento coerente non solo con il nuovo obbligo, ma anche con un mercato del lavoro che vede pochissime migliaia di 15enni e che comunque nella maggior parte dei settori, preferisce accendere i contratti dopo i 18 anni.

Non è più possibile rinviare queste scelte, continuando a prendere sottogamba gli impegni assunti in sede UE.
Ogni anno sono circa 20.000 i ragazzi che escono dal ciclo di base senza conseguire la licenza media, e una quota pari al 2-3% dei licenziati non prosegue, nè nella scuola superiore nè nella formazione professionale, e neppure nell'apprendistato formativo. Mentre molti altri, pur proseguendo gli studi, inciampano subito nell'insuccesso scolastico (in prima i bocciati sono del 16%), accumulano ritardi, cambiano indirizzo, si perdono per strada, abbandonano tra la prima e la seconda classe del secondo ciclo, e talora anche oltre.
Derivano da qui, oltre al sovraccarico anche economico del sistema, i nostri 7-8 punti di distanza dalle medie europee nella percentuale di diplomati.
E i numeri ancora alti di giovani con competenze troppo deboli o inadeguate al mondo del lavoro, e con esperienze scolastiche troppo negative per poi utilizzare agevolmente altre opportunità di crescita culturale e professionale, formazione continua compresa.
E' quindi su questo snodo strategico che bisogna innanzitutto intervenire, oltre che con gli strumenti del lifelong learning per la fascia dei giovani adulti fino ai 25-30 anni.

Il nuovo biennio apre la strada ad altri interventi, nel rispetto dell'autonomia scolastica e del sistema "a più attori" delineato dal Titolo V, sia nel ciclo di base che rispetto all'assetto complessivo del secondo ciclo.

A differenza dell'impostazione abrogativa dell'ultima legislatura, però, i propositi innovativi di questo governo intendono valorizzare le esperienze coerenti con le strategie adottate.
Per questo, l'articolo 68 prevede il proseguimento fino al nuovo assetto dei percorsi triennali sperimentali che, frequentati ormai da oltre 74.000 ragazzi, in diverse realtà segnalano scarti consistenti tra l'offerta disponibile e la domanda potenziale. Sebbene, infatti, le tipologie attivate presentino una varietà di modelli ancora eccessivamente connotata da specificità territoriali e da ragioni politiche, i percorsi costituiscono una realtà interessante nel campo del contrasto della dispersione, per le misure di sistema cui hanno dato origine come per la definizione degli standard delle competenze culturali e professionali cui sono approdati d'intesa Stato e Regioni.
In molti casi, del resto, i risultati sono positivi; perchè sono alte le percentuali dei rientri nei percorsi scolastici ordinari e perchè si riducono significativamente insuccessi e abbandoni.

Una direzione di marcia promettente, anche per lo sviluppo del compartimento tecnico-professionale, un tema anch'esso all'ordine del giorno.

Giuseppe Fioroni
Ministro della Pubblica Istruzione