Intervista a Raffaele La Capria.

Napoli, «La ricetta è una: lavoro e scuola».

di Castalda Musacchio  da Liberazione del 2/11/2006

 

«Per Napoli la ricetta è una sola e si basa su due ingredienti: lavoro e scuola. Poi, stabilire come è possibile “cucinarla” è compito dei politici». Raffaele La Capria non esita. Napoletano “nelle viscere” è uno tra i maggiori scrittori italiani viventi. E proprio la città partenopea è sempre stata l’argomento di gran parte della sua letteratura, vista con la prospettiva di chi quella città la ama, vista con la prospettiva di chi quella città l’ha assaporata anche da lontano da quando si trasferì a Roma giovanissimo. E molti dei suoi libri la raccontano. Dopo i primi testi narrativi, nella sua saggistica non possono non essere citati testi come “l’occhio di Napoli” o “Napolitan Graffiti”. Specchi di una realtà «complessa ma viva», come lui stesso sostiene. «Di una città profondamente amorevole, solidale, “unica” nella sua complessità». E proprio per questo, i mali di Napoli, non possono essere sanati - spiega - con provvedimenti d’urgenza. «L’esercito? Non serve».

Uno scrittore come lei, come replica a chi, oggi, punta a risolvere i problemi della città con l’esercito?

L’ho già detto più volte, lo ripeto: l’esercito non serve. Non si possono arginare i mali di Napoli con il ricorso a strumenti emergenziali. L’esercito viene e poi se ne va, e tutto resta come prima. Il problema è sempre lo stesso: occorrono soluzioni di lungo termine non si risolvono i mali di Napoli con la bacchetta magica. Si tratta di problemi secolari arrivati oggi a un punto di insostenibilità.

Eppure proprio quei mali ci sono... resta la situazione di una criminalità diffusa, capillare...

Dove c’è il bene c’è il male. E posso dire da napoletano che a Napoli prevale il bene ma naturalmente “il male” si fa più notare. Napoli è una grande città, con una popolazione pacifica, con un carattere solare, bellissimo, cordiale. Poi c’è la criminalità. Ma ciò che si è verificato a Napoli non si è ancora verificato in nessuna altra città. Si guardi alla cronaca...

Che intende dire?

Si ricorda? Quel ragazzo fermato dalla polizia che ha incontrato la solidarietà delle persone del quartiere. E’ per questo che, sottolineo, Napoli bisogna conoscerla. Nei vicoli ci si riconosce. Si vive “nel bene e nel male” in una specie di confraternita; gli uni e gli altri sono appartenenti alla stessa vita. E quando uno di loro viene arrestato naturalmente gli altri si ribellano. Cerco di spiegarmi.

Prego...

La solidarietà è la specificità di Napoli. Tra la gente dei vicoli esiste una legge non scritta che si base sulla vita, sulla condivisione. E chi la infrange è “il nemico”. Ciò rende la situazione napoletana diversa da qualsiasi altra città italiana.

Esiste la camorra però, e nelle sue parole seppure indirettamente vi è un’accusa all’assenza dello Stato...

Volevo solo dire che ciò che accade a Napoli può davvero verificarsi in ben poche città se non in nessuna. E questo dipende anche da una situazione storica, endemica, su cui si possono accumulare pagine e pagine. Certo lo Stato non c’è. E l’unico Stato è la camorra. Ma in quale senso? Nel senso che dà lavoro. Parliamo di quartieri dove il lavoro la scuola non esistono. La maggior parte della gente è povera. I giovani perennemente disoccupati. E’ tutto questo e ancora altro che crea il bisogno, che fa vivere gli interessi delle mafie. E vorrei ancora dire di più.

Prego...

In quelle zone, in quei quartieri non esiste quell’equilibrio così netto tra bene e male; tutto è dettato dal bisogno. Dalla fatica quotidiana del vivere. Nei vicoli lo Stato ha lasciato che subentrasse la criminalità organizzata nella gestione delle relazioni sociali. Criminalità che non è più solo organizzata; ma, direi di più, oggi è industrializzata che è ancora peggio.

Se dovesse, da scrittore, consegnare una ricetta ai politici cosa direbbe?

La ricetta? E una sola e basata su due ingredienti: lavoro e scuola. Poi vedere come è possibile realizzarla concretamente è compito dei politici. Lavoro e scuola. Lo ripeto. Sono gli unici strumenti che la politica può utilizzare contro questo stato di cose. La formazione delle coscienze “fa la differenza” necessaria, aiuta in un certo senso a coltivare la coscienza. E il lavoro. A sua volta indispensabile proprio per rendere liberi dalla necessità, dal bisogno. Per me non esiste altro.