Il decano di Italianistica si sfoga:
Bologna: L'accusa del professor Pasquini Ilaria Venturi la Repubblica ed. di Bologna del 29/11/2006
E´ appena rientrato da una lezione sulla poesia popolare giullaresca nel Medioevo. Scuote la testa, il professor Emilio Pasquini. «Su questo tema li vedo appassionati. Ma il problema, in generale, è che sono fortemente impreparati». Al suo ultimo anno di lezioni, il decano di Italianistica è nella posizione di poter dire cose impopolari. E cioè che il re è nudo, ovvero che l´Università ha gettato la spugna nel formare i suoi studenti. Nella sua prolusione su Carducci, tenuta in apertura dell´anno accademico, Pasquini ha lanciato l´allarme alla città sul declino del rigore e del livello degli studi: «Ci vuole una scossa etica, al limite dell´utopia».
Perché professore questo appello? «Perché negli ultimi anni è caduto il livello di preparazione degli studenti. Oggi non posso più permettermi di fare lezione come vent´anni fa: non mi capirebbero più. Mi trovo di fronte a giovani che non hanno minimamente idea di quello di cui parlo, se cito il Cantico dei cantici vedo il loro sguardo nel vuoto, se do un voto mediocre all´esame mi guardano stupefatti, perché non si rendono conto che ho perdonato cose un tempo imperdonabili. Manca a questi ragazzi l´enciclopedia di base, si iscrivono a Lettere senza sapere il latino, il greco si studia tutto il traduzione».
Come ha reagito, professore? «Mi sono rassegnato, lo ammetto. Mando giù cose che un tempo non avrei mai digerito, accetto di dare un 26 all´esame che sarebbe in realtà un 18. Il problema è che tutta l´Università è diventata più tollerante. E´ vero che ‘magna debetur puero reverentia´, ma il rispetto lo si deve anche alla dignità delle discipline. Facendo credere ai giovani che tutto sia facile li abbiamo ingannati».
E´ con questa idea che i ragazzi si iscrivono a Lettere? «Fuggono dalle facoltà scientifiche perché lì ancora lo studio costa fatica. Un giorni si è presentata all´esame una studentessa che veniva da Medicina, dove aveva superato venti esami con voti alti. Perché, le ho chiesto, è qui. Perché qua c´è la felicità. E´ questo che cercano i giovani da noi: vogliono fare cose che riempiono lo spirito, pensano che qui la vita sia bella perché si sta in mezzo a cose belle. Un peterpanismo preoccupante».
La didattica è dunque caduta di livello? «Molti dei nostri maestri nascevano dalla didattica. Ora invece ad alto livello facciamo solo ricerca. Prepariamo persone mediamente colte che andranno a lavorare nei villaggi turistici. Possiamo anche farlo, ma in realtà noi abbiamo il compito di formare persone che abbiano competenze scientifiche e il rigore scientifico è alla base della biologia come della letteratura. Non serve a nulla preparare una persona che sa all´incirca, come stiamo facendo. Ma se lo stesso Carducci, pur essendo un latinista provetto, rifiutò di insegnare latino a Napoli perché non si riteneva adeguatamente preparato!».
Di chi è la colpa? «Ci sono responsabilità della scuola media che non prepara e dell´Università che si accontenta».
Rimpiange forse l´Università d´élite?
«Figuriamoci, non sarebbe più possibile.
Non sono un passatista, mi considero riformista ed esserlo significa
cominciare a pretendere rigore negli studi. Non dobbiamo più
accontentarci dell´imparaticcio, non fa bene a nessuno. Ma ogni volta
che parli così diventi impopolare. Quando ero visiting professor
all´Università di Yale ho assistito a una seduta del consiglio di un
dottorato di ricerca. A una candidata è stato detto che il suo livello
di preparazione e di impegno era inadeguato per Yale. A Bologna questo
non potrebbe mai accadere. La scossa etica è cominciare a dire alle
persone: Tu non hai studiato». |