La dura critica in collegio docenti costa
il posto ad un’insegnante.

da Tuttoscuola, 15 novembre 2006

 

È costato molto caro criticare duramente il datore di lavoro (scuola) durante una riunione pubblica, tra colleghi.

Più di cinque anni fa, nel corso di una seduta del collegio dei docenti, un’insegnante del Centro di formazione professionale-Università popolare trentina, aveva rivolto gravi critiche, polemiche e ingiurie alla struttura scolastica da cui dipendeva. Nei giorni successivi, l’insegnante aveva anche divulgato a un quotidiano locale il contenuto delle sue accuse.

Per quelle ingiurie e le gravi accuse alla sua scuola era stata licenziata.

Contro il licenziamento l’insegnante aveva presentato ricorso, ma la Corte d’appello di Trento nel 2004 aveva convalidato la perdita del posto di lavoro per violazione delle "regole di convivenza civile che impongono il reciproco rispetto".

La docente non si era data per vinta e aveva portato la causa fino in Cassazione, rivendicando il suo diritto di critica.

La sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza 23726/06 depositata il 7 novembre, ha confermato la sentenza della corte d’appello di Trento che ha ritenuto elemento costitutivo della contestazione disciplinare le "parole", pesanti ed eccessive, espresse durante la riunione scolastica di cinque anni fa.

Difficile prevedere che la sentenza possa costituire una esempio per altre scuole e per altri insegnanti, ma c’è da chiedersi cosa avrebbe potuto succedere negli ultimi anni in tante scuole e in tanti collegi docenti dove sono state espresse pubblicamente pesanti critiche verso il datore di lavoro (cioè il ministro dell’istruzione) del quale non si condivideva l’azione amministrativa.

Non parliamo delle normali e legittime critiche che possono essere state espresse, ma di quelle dure, accompagnate a volte da incitazione alla disubbidienza civile e alla disapplicazione delle norme.

Cosa avrebbero dovuto fare, in quei casi i dirigenti scolastici?