Dopo il rettore del Politecnico, anche gli altri responsabili delle università
denunciano le carenze delle matricole.
«Scarsi in matematica e inglese, alcuni sono incapaci di esprimersi»

«Studenti impreparati, colpa dei genitori».

Presidi e insegnanti: non li spingono a impegnarsi, la maturità ormai è una barzelletta

Annachiara Sacchi, Il Corriere della Sera del 4/3/2006

 

L’esame di maturità? Troppo facile, tanto vale abolirlo. I genitori? Sempre pronti a schierarsi con i figli contro chi li accusa di scarso impegno. La preparazione dei ragazzi? Lacunosa, con gravi problemi nella costruzione delle frasi e nell’organizzazione dello studio. Con queste premesse il risultato è uno solo: le matricole arrivano all’università senza le nozioni necessarie per affrontare gli esami. Lo ha denunciato il rettore del Politecnico, Giulio Ballio, lo ribadiscono i colleghi degli altri atenei e delle scuole superiori di Milano: «Serve più serietà negli studi, altrimenti assisteremo a un ulteriore, e disastroso, abbassamento del livello di istruzione».

Rettori e presidi. Pronti a difendere il loro lavoro, ma molto lucidi quando si parla di studenti. «Sono diventati più ignoranti - ammette Michele D’Elia, a capo del liceo scientifico Vittorio Veneto -, non sono abituati all’impegno, allo sforzo mentale, hanno un vocabolario di cinquanta parole». Colpa della scuola, certo («Bisognerebbe tornare ai vecchi programmi», dice D’Elia), ma anche dell’università: «Si è troppo licealizzata».
Questioni spinose che devono fare i conti con le riforme degli ultimi anni. «Questi giovani - confessa Marcello Fontanesi, rettore della Bicocca - dimostrano carenze strutturali nel parlare, nello scrivere, nella pianificazione dello studio. E rischiano di perdere la competizione con i Paesi emergenti. Perché le aziende vogliono i migliori. E non è un caso che le donne, con la loro voglia di imporsi, riescano meglio degli uomini: per studiare ci vuole forza di volontà».

Una forza che spesso non è coltivata dalle famiglie dei ragazzi. «Anzi - aggiunge Teresa Capra, preside del turistico Bertarelli - i genitori hanno sempre un motivo per difendere i figli quando noi li rimproveriamo. Manca, poi, una seria prova d’esame».

Come la maturità, una volta tappa fondamentale nella vita di ogni giovane, ora retrocessa al punto tale da non essere nemmeno presa in considerazione nei test di ingresso alle facoltà. «È diventata l’ultima interrogazione dell’anno - sintetizza Giovanni Puglisi, rettore dello Iulm -, quasi una barzelletta. Servirebbe, invece, una selezione più seria: l’università sta diventando l’alternativa allo stato giuridico di disoccupato».

Simulazioni di test, lezioni propedeutiche alle prove di ingresso, incontri con i futuri docenti: da qualche anno nelle scuole si organizzano incontri di orientamento per spiegare ai ragazzi come prepararsi all’università. Stessa cosa con gli alunni delle medie. «Ai loro genitori - aggiunge il preside del classico Berchet, Innocente Pessina - diciamo: "Non fate studiare ai vostri figli il latino, ma l’analisi logica"».

Puntare sull’italiano e la matematica, ma anche sull’inglese, consigliano i docenti. «Il livello di preparazione - sospira Angelo Provasoli, a capo della Bocconi - sta scendendo. Il 70 per cento di chi si iscrive nel nostro ateneo ha risultati scarsissimi in inglese. Da parte nostra, cercheremo di stare molto attenti alla selezione, dando più peso al test e meno ai risultati scolastici».

E se il preside del magistrale Agnesi, Giovanni Gaglio, auspica «collegamenti più diretti con le facoltà», il rettore della Statale, Enrico Decleva, conclude: «Va bene la collaborazione con le scuole, ma una forma di selezione è inevitabile, non si possono risolvere i problemi di tutti. I ragazzi devono capire che l’università non può essere una chioccia: chi non ce la fa, deve porsi il problema di fare un’altra scelta».