Quale ministro per l'Università. Luigi Guiso e Roberto Perotti da La Voce del 16/5/2006
Nei tanti toto-ministri che si leggono sui
giornali in questi giorni, il ministero dell’Università viene citato
molto raramente; si ha la sensazione che questo dicastero svolga un
ruolo residuale nel risolvere i problemi di rappresentanza all’interno
della nutrita maggioranza di Governo. Sarebbe un grave errore. 1. Mettere al centro dell’attività accademica la ricerca. Un buon ricercatore è di norma anche un buon insegnante; un cattivo ricercatore non può trasmettere conoscenza ad alto livello. La capacità di produrre ricerca secondo gli standard internazionali deve dunque diventare il perno della selezione e della promozione dei docenti. 2. Per questo, è necessario modificare la struttura degli incentivi e ridisegnarli in modo da premiare chi – persona o ateneo - produce ricerca di alto livello, condizionando a questo una quota rilevante dei finanziamenti agli atenei e almeno una parte del salario o delle risorse dei ricercatori. L’esperienza inglese (un sistema interamente pubblico) degli ultimi dieci anni dimostra che le scelte delle istituzioni universitarie rispondono notevolmente agli incentivi economici e che questi, se ben, congegnati, sono in grado di accrescere di molto la qualità del sistema universitario. Oggi invece l’università italiana si basa su di un complicatissimo sistema dirigistico e centralizzato di migliaia di regole formali e di decine di organi istituzionali che hanno poco o nulla a che vedere con l’unico scopo importante: fornire gli incentivi per fare buona ricerca. Il futuro ministro dell’Università dovrà essere in grado di riconoscere l’importanza di un sistema di incentivi corretti e abbandonare la tradizione umanistica e sud-europea di affidarsi esclusivamente a regole formali tanto complicate quanto vuote di effetti sostanziali. 3. Riconoscere e accettare la diversità nella qualità degli atenei. Un sistema corretto di incentivi migliora la qualità media, ma crea anche dispersione, per un motivo molto semplice: esso convoglia più risorse ai migliori. La mentalità egualitarista che ha sempre pervaso l’università italiana tende a ottenere l’effetto opposto: livellare in nome di un malinteso senso dell’equità. Ma l’università non è il liceo: essa deve produrre eccellenza, solo così si fanno fruttare i finanziamenti del contribuente. Il futuro ministro dell’Università dovrà avere la capacità di rompere con gli schemi egualitaristici del passato e la forza di imporre questa scelta all’establishment universitario. 4. Abbandonare la retorica dell’università gratuita. Nonostante questa retorica, poche istituzioni sono più inique dell’università italiana, pagata da tutti i contribuenti, ma frequentata soprattutto dai ricchi. Ma non è solo una questione di equità: con tasse studentesche più elevate, ogni ateneo sarà costretto a sudare le proprie risorse, e quegli atenei che non forniscono un servizio adeguato saranno costretti a chiudere, come è giusto che sia. Un sistema di borse di studio e di prestiti condizionati al reddito permetterà anche ai meno abbienti di frequentare l’università, impedendo però ai ricchi di avvantaggiarsene senza motivo.
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