Nobody likes change, except a wet baby:

Nessuno ama il cambiamento

tranne un bambino bagnato.

 di Stefano Stefanel da Pavone Risorse del 3/5/2006

 

La scuola italiana sta col fiato sospeso in attesa di conoscere il suo futuro. Questa è, probabilmente, l’unica cosa che accomuna le diverse fazioni che popolano il nostro mondo dell’istruzione. Da un lato ci sono gli “apocalittici” secondo cui la Riforma Moratti ci ha fatto perdere cinque anni, dall’altra ci sono gli “integrati” che hanno cominciato a lavorare con la Riforma Moratti. Qualche commentatore autorevole “di sinistra” (Raffaele Iosa) ha accusato gli “integrati” di essere poco più che “collaborazionisti”. Qualche commentatore autorevole di destra (Ermanno Puricelli) ha accusato gli “apocalittici” di essere poco più che “fossili”.

I parametri fissati dal Consiglio d’Europa nel 2000 stanno lì a guardarci impietosi. Probabilmente sarà necessario modificarli, in questi anni che ci separano dal 2010, per non fallirli praticamente tutti. Comunque ci sono dei temi nella Riforma Moratti che hanno portato avanti la scuola senza che questa se ne accorgesse: spostare l’attenzione dalla didattica (Unità didattiche) agli apprendimenti degli alunni (Unità di apprendimento) non è stata una cosa da poco e questo passo difficilmente non lascerà il segno. Così come lascerà il segno il concetto di Portfolio e la sua giusta “complicazione” dell’artigianale struttura valutativa della scuola italiana.

I sistemi dell’istruzione con cui collaboriamo, almeno teoricamente, e cioè quelli dell’Unione Europea e quelli con cui invece siamo in competizione (India, Cina, Stati Uniti, Corea, Giappone, ad esempio) non intendono aspettarci, mentre decidiamo in che modo sanare il precariato e in che modo modificare gli “amati” programmi degli Anni Settanta e Ottanta. Anzi, Cina e India sono felicissime se noi continuiamo a preparare “democraticamente” i nostri ragazzi con i Programmi di quegli anni, visto che a quel tempo l’India e la Cina stavano saldamente nel Terzo Mondo, tra caste imperanti e postumi della “rivoluzione culturale”.

E sono altrettanto contente se irrigidiamo ancora di più il nostro sistema dell’istruzione immettendo in ruolo tutti i precari più o meno storici senza verificare la loro preparazione (questo discorso vale ovviamente anche per i Dirigenti scolastici incaricati che non hanno superato le prove del Corso/concorso ordinario).

La scuola superiore sembra molto calma anche perché vive la certezza che quella parte di Riforma svanirà come la neve d’estate. Quello che la scuola superiore si rifiuta invece di comunicare è cosa intende fare per non essere etichettata come una delle peggiori del mondo: le rilevazioni OCSE-PISA dicono infatti che gli Stati Uniti d’America hanno una pessima scuola pubblica (e infatti noi citiamo quelle rilevazioni per confermare questa idea), ma dicono anche che noi stiamo a livelli ancora più bassi (e qui invece cominciamo a cavillare su come sono state realizzate le rilevazioni).

Forse basterebbe un po’ più di attenzione alla realtà e meno ai contratti, un po’ più studio del mondo e un po’ meno dei volantini sindacali, un po’ più di attenzione a quello che succede all’estero e un po’ meno di retorica sulla scuola “democratica” italiana. Insistere a rifiutare il cambiamento potrebbe portarci a risvegliarci “tutti bagnati”.