Intervista al ministro che non c'è.
E' solo un sogno, non è uno scoop
giornalistico.
Ma in attesa dell'esito del ''toto-ministri'' vi raccontiamo la scuola
che,
da domani, vorremmo il governo contribuisca a creare.
Gianfranco Pignatelli
*, da
Aprile On Line.info del 17/5/2006
Onorevole ce l’ha
fatta?
Ebbene sì.
Ministro
dell’istruzione o della Pubblica Istruzione?
Pubblica, ovviamente.
Ma, quanto
Pubblica?
Tanto da puntare, in primo luogo, sulla scuola statale come scuola di
tutti e per tutti. Ma non solo.
In che senso?
La Costituzione contempla una scuola gestita dallo stato ed una non
statale ma altrettanto pubblica, dal 2000, vincolata al rispetto della
legge n.62 che subordina la parità a precise condizioni.
Condizioni
aggirate e disattese dalla sua predecessora.
Purtroppo.
E allora?
Occorre che il ministero vigili per la moralizzazione del comparto ed
il rispetto dei parametri stabili, escludendo tutti coloro che non li
rispettano.
Pensa che si
possa?
Credo che si debba. Magari facendo qualcosa in più. Prescrivendo il
rispetto degli standard di qualità, dell’autonomia decisionale, dei
diritti retributivi e sindacali dei dipendenti delle paritarie, ma
anche nuovi doveri.
Addirittura?
Certo, ad esempio quello di attingere i docenti dalle pubbliche
graduatorie permanenti.
Come si può
imporre ai privati l’obbligo di sottostare a graduatorie pubbliche?
Si deve. D’altronde non si può rivendicare il sostegno economico
statale in virtù di un preteso servizio pubblico e nel contempo
arrogarsi il privilegio di scegliere privatisticamente i propri
docenti.
Ma non sarà
accusata di furore statalista?
No, anzi. Si favorirà la competitività su basi davvero paritarie. Sarà
valorizzata la qualità degli istituti seri ed i loro insegnanti
saranno, finalmente, redenti dal “peccato originale” della chiamata
diretta, affrancati dal marchio di privilegiati e raccomandati.
Questo
contribuirà alla lotta al precariato?
Certo, ma il contributo maggiore in questa battaglia lo deve dare lo
stato.
Allora mai più precari?
Non esageriamo. Negli ultimi anni, in modo irresponsabile, sono stati
istituiti percorsi abilitanti pur sapendo che le graduatorie erano
stracolme e le disponibilità inesistenti.
Errore di
valutazione?
No, speculazione. Si sono istituiti sempre nuovi cicli SSIS per
foraggiare gli atenei che le gestivano.
Addirittura?
Non solo. Sui precari, perché non fossero scavalcati in graduatoria,
s’è creato un mercimonio di master, specializzazioni, stage e
perfezionamenti, perché guadagnassero pochi punti e spendessero molti
denari.
Come pensa di
porre rimedio a tutto ciò?
Applicando la legge vigente, sempre disattesa, con la quale si
stabilisce che la formazione di nuovi docenti sia subordinata al reale
fabbisogno e circoscritto a quelle regioni e quegli insegnamenti che
abbiano esaurito le graduatorie esistenti.
Crede che
basti?
Occorre anche che l’Università smetta di puntare al profitto e torni a
fare ricerca e didattica, rispettando l’autonomia della scuola.
Crede che la
separazione tra Scuola, Università e Ricerca possa giovare?
Assolutamente sì.
Sembra di
capire che il precariato sia una priorità del nuovo ministro…
Del ministro e del governo. Lo abbiamo scritto nel programma e lo
realizzeremo. Avendolo imposto all’imprenditoria privata non possiamo
non realizzarlo nel pubblico impiego, partendo dalla scuola.
Si comincia dagli ultimi perché siete di sinistra o c’è dell’altro?
C’è tutto il resto. La precarietà è un cancro della scuola italiana.
Non tanto per le implicazioni occupazioni ma per la stessa qualità
dell’offerta didattica. Il perenne valzer delle cattedre arreca dei
disagi funzionali ma anche affettivi, impedisce la continuità
didattica, impone ai docenti che subentrano l’adozione di testi scelti
da altri, arrivano troppo tardi per la programmazione e vanno via
troppo presto per verificare quali risultati abbia riscosso la propria
attività e tanto altro ancora.
Quindi meno
precarietà per una maggiore qualità?
Senz’altro.
Ministro, a
dispetto del nome, l’Unione s’è divisa sulla Riforma Moratti tra
abrogazionisti ed anti-abrogazionisi.
Il disagio è grande. Per cinque anni, su tutti i palchi, in tutti i
convegni, in ogni assemblea e con i comitati “fermiamo la Moratti”
abbiamo portato in piazza studenti, insegnanti (precari e non),
genitori e, finanche, figli e scolaresche. Oggi non possiamo essere
pavidi o ambigui. Se pure ci limitassimo a stornare ciò che non va ci
renderemmo conto che rimarrebbe il solo involucro. Il cui solo nome
evoca destabilizzazione e d-istruzione della scuola pubblica, travaso
di risorse statali verso i privati, ribaltoni normativi ed
insensatezze d’ogni tipo.
Adesso che, finalmente, la Moratti s’è fermata i solerti moderati
ed i pragmatici dicono che non si può cambiare scuola ad ogni cambio
di maggioranza, che l’ordinamento non è tutto, e così via…
La politica deve assumersi la responsabilità di non deludere le
aspettative di coloro che hanno pensato che dalla fabbrica di Prodi
uscisse una scuola nuova e non una riciclata.
Quanto nuova?
Tanto da essere di tutti e per tutti, davvero laica e pluralista. Che
torni ad essere un’agenzia educativa capace di garantire pari
opportunità ai suoi cittadini, ovunque vivano a da qualunque
estrazione provengano.
E le quantità?
Alla scuola della Moratti con ridotte quantità e nessuna qualità
vogliamo opporre più tempo pieno, prolungato ed esteso. Il ripristino
delle regole democratiche in seno agli organi collegiali. La
valorizzazione della funzione docente, la tutela della libertà
didattica e incentivi all’aggiornamento.
L’ordinamento?
Pensiamo si debba ripristinare la continuità didattica,
indipendentemente dal vincolo dell’orario cattedra e sia da
incentivare la piena occupazione e, ad un tempo, sia da scoraggiare il
cannibalismo professionale dei docenti in ruolo che, attraverso le
graduatorie e le varie forme di mobilità, sottraggono opportunità di
lavoro ai precari.
Non rischierà
di toccare troppe rendite di posizione?
L’Italia e la sua scuola sono stufe di politici senza idee e senza
coraggio, che sanno coltivare grandi ambizioni solo se all’opposizione
ma non hanno l’onestà e la coerenza per realizzarle. La scuola non può
essere solo all’opposizione di tutti, sempre. Ha il diritto di essere
governata con equilibrio e saggezza, ha il diritto di avere, per sé,
un progetto, ha il dovere di offrirlo ai suoi giovani ed al Paese.
A questo punto
non ci resta che ringraziarla per averci concesso quest’intervista in
anteprima.
Prego. Un sogno non si nega a nessuno. Da domani, realizzarlo sarà il
mio compito.
* C.I.P. – Comitati
Insegnanti Precari