Fioroni a Barbiana:
"Non lasciare indietro nessuno".
da
ScuolaOggi del
21 maggio 2006
Come previsto il neoministro all'istruzione
Beppe Fioroni ha fatto la sua prima apparizione durante la Marcia di
Barbiana, in memoria di don Lorenzo Milani, a 40 anni dalla
pubblicazione di Lettera a una profesoressa. Ecco il testo del suo
intervento, la prima uscita pubblica: "Considero una circostanza
davvero felice la partecipazione alla Marcia di Barbiana nella veste
di Ministro dell’Istruzione. È la mia prima uscita pubblica e
realizzarla qui nei luoghi di Don Milani mi appare davvero ben
augurante e soprattutto impegnativo.
La mia generazione non ha un ricordo diretto del “priore” come non lo
ha del Concilio e di tutti quei movimenti che accompagnarono il
passaggio degli anni sessanta. Questo luogo però costituisce per tutti
e quindi anche per me un luogo dalle fortissime valenza simboliche e
certo non mi sfugge che proprio qui a Barbiana siamo nel cuore di quel
decisivo passaggio di una storia che ha carattere di universalità, che
il tempo non scalficsce ma continua ad avvalorare.
Di Don Milani e soprattutto della Lettera a una professoressa si è
scritto moltissimo; siamo di fronte a quei giacimenti di memoria
storica che non invecchiano mai, anche se a non pochi fa comodo far
finta di non avvedersene. Ed è così vera la vitalità di queste
memorie, come del resto i lavori del concorso bene hanno testimoniato,
che non siamo di fronte ad un cimelio nel quale i ricordi si
racchiudono dopo aver perduto gran parte dell’energia iniziale.
Siamo invece di fronte ad un insegnamento che, pur segnato dal tempo,
conserva tutta intera la propria carica di profezia e di certo non è
retorica affermare che oggi il messaggio di Barbiana fa pensare e
conserva integra quella inquietudine che quarant’anni fa propose
laicamente all’attenzione di tutti.
Alla metà degli anni sessanta l’Italia viveva il fulmine di quello che
allora fu chiamato il boom economico. Tra il ‘50 ed il ‘64 il nostro
paese aveva raddoppiato il reddito netto per abitante in termini
reali; un risultato che prima si era potuto realizzare solo in novant’anni.
Eppure, nel pieno di quel processo, il benessere non era equamente
distribuito; insieme all’accrescimento economico e finanziario si
accompagnavano menomi di sofferenza e di esclusione. Nacquero e si
accrebbero in quegli anni i disagi delle periferie metropolitane
invasi dagli immigrati del sud e nelle campagne restarono ampie zone
non raggiunte dal miracolo economico.
Barbiana era appunto uno di quei luoghi di vita difficile, un contesto
che oggi facciamo fatica ad immaginare ma che, come vedremo, poneva
problemi che stanno tornando nel mondo di oggi.
Ed ecco qual è, per me, il primo insegnamento di Don Milani: guardare
alla cose nascoste, andare oltre alla banalità dell’evidenza. E chi
avesse voglia di rileggersi le centosessanta pagine della lettera
potrà agevolmente capire questo atteggiamento di svelamento della
realtà. Gli esempi sono moltissimi, nei contenuti del testo appaiono
con limpida evidenza denunciando la perpetuazione dei percorsi di
esclusione sociale che per tanti decenni hanno attraversato la scuola
ed il mondo della formazione e che oggi, dopo un certo accanimento
controriformatore degli ultimi anni, si ripropongono in forme antiche
e nuove.
Ancora oggi nel nostro paese decine di ragazzi ogni anno escono dalla
scuola media senza aver conseguito il titolo finale, esclusi da ogni
proseguimento formativo, mentre oltre un quarto dei giovani continua a
non conseguire né diplomi né qualifiche professionali ed è questo un
punto sul quale è mia intenzione intervenire con politiche adeguate,
perché in nessun modo la scuola sia un luogo di esclusione.
La scuola è di tutti e per tutti e a questo principio fondamentale non
è possibile derogare.
Ed arriviamo ad un secondo decisivo insegnamento che viene
dall’esperienza di Barbiana: non lasciare indietro nessuno. E non solo
per quella pietà, che in una società segnata per tanti aspetti
dall’empietà è certamente una laica e nobile virtù, ma per un
interesse reale che comprende ma supera i sentimenti: fare l’interesse
della Repubblica di formare il maggior numero possibile di giovani
all’impegno di una vita e di un lavoro degni di essere vissuti e tali
da costituire una base di certezze umane e produttive per il futuro
del nostro paese.
I ragazzi che i borghesi di allora non volevano, come si legge nella
lettera, devono invece trovare i motivi e godere delle risorse
necessarie per restare e realizzare il successo formativo superando le
difficoltà. L’abbiamo visto anche noi, dicevano i ragazzi di Don
Milani, con “con la loro scuola e con loro, la scuola diventa più
difficile e qualche volta viene la tentazione di levarsene da torno,
ma se si perde loro la scuola non è più scuola, diventa ospedale che
cura i sani e respinge i malati, diventa uno strumento di
differenziazione sempre più irrimediabile”. Questo vale per tutte le
forme di esclusione, vale anche per il nostro approccio fattivo nel
garantire le pari opportunità ai diversamente abili.
Ed è qui che l’indicazione è chiarissima e vincolante, certamente per
chi ha responsabilità generali nella scuola, e non solo per ridurre il
fenomeno della mortalità scolastica, secondo una mera logica dei
numeri, ma nel senso più sostanziale di dare davvero a tutti quella
formazione che è indispensabile per un pieno inserimento sociale, per
il quale è altrettanto evidente che occorrono sinergie nuove tra i
vari organi di governo, centrali e locali, e soprattutto un rimotivato
coinvolgimento tra pubblico e privato per creare le possibilità
d’incontro tra il sapere e la produzione della ricchezza e dei
servizi. Un coinvolgimento che dovrà vedere il sistema educativo
protagonista attivo e senza incertezze.
Chi sale a Barbiana, poi, non può non tornare senza un altro
importante insegnamento: il no all’indifferenza. Si è scritto fino
alla noia sul significato di quell’ I care che campeggia nei locali
della scuola. È vero, la vera cifra che tante volte distingue tra loro
le persone è proprio questa caratteristica immateriale capace di
trasformare un gesto qualsiasi in un’azione significativa. Possiamo
anche avere dissapori tra di noi, pensarla diversamente su una o più
questioni, anche decisive, ma se le scelte ci interessano potremo
sempre trovare un terreno di confronto.
Come accennavo, l’indifferenza di borghesi di allora, cui alludono
tante pagine della Lettera, è diversa da quell’indifferenza che noi
oggi sperimentiamo. Se prima l’indifferenza nascondeva in se stessa
una forma di insofferenza e spregio delle classi sociali meno
abbienti, oggi l’indifferenza, oltre a questo, si colloca in tutti
quei territori dove per tante ragioni l’uomo tende a ridurre i propri
comportamenti ad una banalità opaca sulla quale la luce dell’etica
civile non riesce più a filtrare e ad illuminare le coscienza.
Ed ecco allora che a quell’I Care dobbiamo dare oggi un significato
più pieno. Esso è infatti la formula di un invito ad essere pienamente
uomini ed indica in definitiva la necessità di un nuovo umanesimo. Le
culture del novecento hanno prodotto tante dottrine politiche e quindi
forme di umanesimi contraddittori e, come bene è stato detto,
l’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano e la storia del secolo
breve, con le sue stragi, ne ha dato testimonianze tragiche, ma
attenzione: la fine delle ideologie non ha avuto automaticamente qual
conseguenza la fine della disumanità.
Le nuove povertà dei paesi industrializzati, le crescenti divisioni
trai paesi ricchi e i paesi poveri, le oltre centoquaranta guerre che
si stanno combattendo nel mondo, anche con disumano impiego dei
bambini soldato, la crisi ambientale ed altri fenomeni preoccupanti,
ci dicono che gli esiti della modernità da soli, non sono in grado di
garantire un futuro di pace degno di umanità riscattata dalle guerre e
dalle ingiustizie.
Ci dicono cioè che dobbiamo incontrarci per scrivere insieme le tavole
di un etica condivisa che restituisca ragioni di speranza e di
crescita all’umanità.
Tanti fatti, oltre a quelli appena segnalati, ci dicono che la
costruzione di un umanesimo vero e di pace è impegno difficilissimo ma
non impossibile. Per costruirlo Don Lorenzo ci aiuta con il suo
generoso e intelligente esempio, a partire da quella scuola che
attraverso il suo impegno, ha ridato la parola ad una povertà che ne
era priva, ne era afona. E ancora oggi dobbiamo ridare la parola a chi
l’ha perduta assieme alla voglia di comunicare, di parlare. A chi,
nella frammentazione del presente ha perso la fiducia di poter
divenire protagonista della propria vita e su questi valori, ve lo
assicuro veramente, orienterò il mio impegno di governo come ministro
della scuola di tutti, perché questo e non altro vuol dire
l’espressione “pubblica istruzione”
C’è una terra di mezzo tra quella dei grandi apostoli della
solidarietà e quella variegata del mondo della politica, c’è uno
spazio dei profeti che è una patria senza confini. Don Milani abita
ancora questa terra e ci aiuta con l’esempio della sua missione
religiosa ma soprattutto civile.