I dati dell'Istat (2001-2004) confermano la tendenza.
Il 60 per cento non riesce a trovare un impiego e va all'estero. Il Sud "maglia nera"

Laureati ma senza un impiego

sempre più giovani 'emigranti'.

di Salvo Intravaia, la Repubblica del 10/5/2006

 

In aumento in Italia i disoccupati intellettuali, e cresce il numero di coloro che sono disposti ad emigrare pur di mettere a frutto i propri studi. Alle ricerche annuali che denunciano il fenomeno si affianca ora l'Istat, con l'indagine campionaria (Inserimento professionale dei laureati: indagine 2004) su oltre 25 mila soggetti laureatisi nel 2001. I fortunati che tre anni dopo riescono a raggiungere il sospirato traguardo e svolgono un lavoro continuativo iniziato dopo la laurea sono sempre meno: il 56,4 per cento del totale.
Secondo l'istituto nazionale di statistica nel 2004 i disoccupati ammontavano al 14,5 per cento di coloro che avevano raggiunto, nel 2001, il titolo di 'dottore'.

Nel 2001 le cose andavano decisamente meglio. I dottori che erano riusciti ad avere un impiego continuativo ammontavano al 63,2 per cento mentre quelli alla ricerca di una attività più stabile, dopo avere studiato per anni, erano poco più di 12 su 100. La restante parte lavorava già prima di laurearsi, si arrangiava con lavoretti precari o non aveva nessun interesse a trovarne un impiego.

Sembra proprio che il titolo di studio che fino a vent'anni fa assicurava l'inserimento nel mondo del lavoro stia perdendo efficacia. Nel dopoguerra chi si laureava era certo di trovare lavoro, possibilmente anche prestigioso. Trent'anni dopo le cose erano già cambiate, ma bastava impegnarsi un poco per trovare un buon impiego. Oggi, invece, cresce il numero di giovani che si deve accontentare di lavori stagionali o addirittura precari. E molti restano alla ricerca di una sistemazione stabile per anni. Qualcosa - stima l'Istat - come 20 mila ragazzi che hanno tagliato il nastro della laurea nel 2001.

I numeri dell'Istat aiutano a capire le dimensioni del fenomeno. Indicativo, ad esempio, il dato che mette in relazione il tipo di lavoro svolto e il titolo di studio conseguito: un intervistato su tre dichiara che, nonostante la laurea, il titolo non è necessario per la mansione svolta. E restano ancora le donne a pagare il prezzo più alto della disoccupazione col 15,4 per cento in cerca di lavoro a tre anni dalla laurea. Ma se ci si sposta al Sud i numeri diventano davvero imbarazzanti: tasso di disoccupazione dei laureati, sempre nel 2004, al 30 per cento (quasi 5 punti in più rispetto al 2001) che sale al 37,2 per le donne. Ai fini dell'inserimento nel mondo del lavoro non tutti i diplomi di laurea sono uguali. I giovani ingegneri, con l'81,6 per cento già a lavoro, soffrono meno degli altri, seguiti dai laureati del cosiddetto gruppo chimico-farmaceutico. E a parte i medici, impegnati nella specializzazione post laurea, le cose si complicano parecchio per i laureati del gruppo giuridico (41,6 per cento con un lavoro continuativo iniziato dopo la laurea) e per quelli di Scienze motorie, solo in 2 su 10 a lavoro. Ma qual è il modo più sicuro per trovare lavoro? Trenta su 100 giurano di avere inviato un 'curriculum ai datori di lavoro', in 20 (seconda modalità in assoluto) non nascondono di avere trovato lavoro per mezzo della 'conoscenza diretta del datore di lavoro o per segnalazione di un parente o un conoscente'. Sembra che la cosiddetta raccomandazione sia ancora uno dei metodi di reclutamento preferiti in Italia, visto la percentuale di coloro che hanno dichiarato di avere trovato un lavoro 'attraverso un ufficio o una agenzia di collocamentò è bassissima: appena il 4 per cento.

Ma chi lavora è soddisfatto? E quanto guadagna? La maggior parte (88,7 per cento) si dichiara 'molto o abbastanza soddisfattò del grado di autonomia raggiunto. Meno, solo il 61,9 per cento, della paga mensile, che per 7 su 100 non arriva a 800 euro e per 4 su 10 non supera i 1.100 euro al mese. E i disoccupati, a cosa aspirano? I più desiderano un lavoro dipendente e a tempo pieno. E pur di lavorare sono disposti (quasi l'80 per cento) a cambiare città spostandosi anche all'estero (38,2 per cento), se serve. La maggior parte di loro (il 76 per cento) non pretende neppure stipendi da capogiro (tra i 1.100 e i 1.500 euro al mese) e addirittura uno su 10 si accontenterebbe di guadagnare meno di 800 euro.