IL CASO

Addio ritorno dei cervelli.

L´Italia congela il programma di rientro
dei ricercatori dall'estero per mancanza di fondi

di Umberto Veronesi, la Repubblica del 10/5/2006

 

L´ITALIA ha bisogno di creare qui e adesso una comunità scientifica internazionale e invece, questa è la notizia, azzera i finanziamenti destinati al ritorno dei "cervelli" che lavorano all´estero. Ogni ritardo è una minaccia per il nostro futuro. La necessità è non solo che i nostri ricercatori più brillanti rientrino dall´estero e che i nostri giovani non espatrino, con il loro patrimonio di idee e di creatività, ma anche che l´Italia diventi altrettanto attraente per il mondo della scienza internazionale. Non possiamo oggi immaginare che l´Italia si limiti a richiamare gli italiani, la Francia i francesi, la Germania i tedeschi e così via.

Sarebbe un ritorno a una politica della ricerca paleo-nazionalistica. Viceversa quello che la scienza chiede oggi è un ambiente di ricerca costituito da diversi studiosi, che possano confrontare linee di pensiero derivanti da scuole scientifiche differenti, arricchirsi culturalmente, ampliare i progetti comuni di studio.

Innescare insomma il processo di cross-fertilization, la fecondazione reciproca del pensiero e delle idee che è alla base del progresso moderno. Non dimentichiamo che l´esplosione scientifica americana negli ultimi decenni è in gran parte derivata dalla collaborazione fra scienziati immigrati negli Usa durante l´ultima guerra mondiale, soprattutto ebrei, e successivamente indiani, giapponesi e tanti italiani. Basta ricordare l´amico Renato Dulbecco, che si è meritato il Nobel per la genialità e formazione italiana, sviluppata però nei laboratori californiani.

Io credo che questo «crogiuolo» scientifico si possa creare anche in Italia. Del resto il nostro Paese ha avuto una lunga tradizione di scuole a respiro europeo e per secoli le prime università italiane, come Bologna e Padova, sono state frequentate da docenti e studiosi, Copernico e Vesalius per citare i più famosi, di diversi Paesi. La mia esperienza personale dimostra che si può fare e funziona: all´Istituto europeo di oncologia, lavorano medici e ricercatori provenienti da molti Paesi del mondo, e lo Ieo-Ifom, la struttura di ricerca che siamo riusciti a creare vicino allo Ieo, è il primo grande «campus scientifico» in Italia che accoglie giovani ricercatori di ogni nazionalità. È questione dunque di predisporre non solo un finanziamento adeguato per la carriera del ricercatore, ma anche il suo inserimento in centri di eccellenza che dispongano delle infrastrutture e delle tecnologie necessarie allo sviluppo della sua attività. Per far questo ci vogliono risorse, un disegno strategico e soprattutto la consapevolezza sociale che la scienza deve figurare in cima alle priorità dell´agenda del paese. Non investire in ricerca scientifica e non creare una comunità scientifica adeguata significa condannare il Paese all´obsolescenza culturale e alla dipendenza tecnologica che, come la storia ci conferma, facilmente si trasforma in dipendenza politica.

Tutti i dati confermano che le nazioni che producono nuova conoscenza sono in crescita, mentre la mancanza di innovazione scientifica conduce inesorabilmente alla regressione, economica prima e sociale poi. Nessuno vuole relegare l´Italia nell´area dei Paesi del terzo mondo. Ma troppo pochi sembrano fare qualcosa di concreto per impedirlo.