Parlano studenti e ricercatori atipici.
Via le leggi che precarizzano, inclusa la «riforma» Moratti.

Universitari uniti contro la legge 30.

Antonio Sciotto, il Manifesto del 6/7/2006

 

Anche il mondo degli universitari, fatto di studenti e ricercatori precari, si prepara all'assemblea «Stop precarietà ora» dell'8 luglio a Roma. D'accordo con l'abrogazione della legge 30, della Bossi-Fini e della «contro-riforma» Moratti, serie di norme contro cui sono scesi in piazza l'anno scorso, accanto ai ricercatori. Un mondo variegatissimo quello universitario, fatto di 1.700.000 studenti e un vastissimo esercito di lavoratori precari: 55 mila «a contratto» secondo le più disparate tipologie (collaborazioni, assegni, in «affitto» ad enti di ricerca) e 25 mila dottorandi. A fronte di circa 50 mila docenti garantiti (20 mila ricercatori, di fascia più bassa, e 30 mila tra associati e ordinari, la fascia golden).

Una piramide che vede solo al vertice gli iper-tutelati - anche detti «baroni» - e che per il momento nessuna riforma è riuscita a scalfire. In particolare, gli studenti si scagliano contro la riforma 270 del 2004 - varata da Letizia Moratti senza alcuna forma di concertazione - e chiedono di abrogarla, ma non sono per nulla soddisfatti del precedente intervento legislativo, quello del governo di centrosinistra, la legge 509 del 1999: «Attualmente ci ritroviamo con tre ordinamenti universitari che convivono - spiega Daniele Giordano, dell'Unione degli studenti Udu - e l'attuale governo dovrebbe avere il coraggio di affrontare sia la riforma Moratti, abrogandola, ma anche la 509 e il sistema precedente. Riconsiderando tutto con le parti in causa, gli studenti, i docenti, i ricercatori. Al contrario, il ministro Mussi ha annunciato di voler procedere, già da settembre, al varo delle nuove classi di laurea. Noi diciamo: non abbiamo fretta, ripensiamo insieme il sistema, e soprattutto non ricalchiamo, seppure migliorandola, una riforma come quella del ministro Moratti che ha precarizzato i lavoratori e peggiorato la qualità dei corsi, parcellizzando i crediti senza criterio».

Gli studenti attaccano anche la legge 30, che li tocca da vicino per almeno due motivi. Intanto perché sono futuri lavoratori, e poi per il fatto che già oggi il 56% degli universitari (indagine Almalaurea) deve fare un lavoretto, dal facchinaggio al call center, dalle fotocopie al ristorante - spessissimo in nero o precario - per mantenersi agli studi. «Gli studenti, come in Francia, dovrebbero essere dotati di uno statuto, che ne garantisca l'autonomia economica e diritti sindacali - conclude Giordano - All'estero hai la casa, la mensa, i trasporti assicurati o molto favoriti. Qui in Italia non c'è nulla: pensiamo a un reddito, in forma di denaro o di servizi non importa, che garantisca questa autonomia. E poi vogliamo più diritti nel trattare con i docenti: finora hanno il controllo totale su tutto il sistema».
Agguerriti sono anche i ricercatori precari. Andrea Capocci fa parte della Rete nazionale ricercatori precari: lavora come fisico all'Università di Roma, ma ha firmato il contratto con un ente di ricerca esterno. L'esternalizzazione è utilizzatissima, permette alla stessa persona di stare magari per dieci anni nello stesso posto, ma cambiando ente di appalto, tipo di contratto, compenso, sistema contributivo. Per il momento Andrea è collaboratore a progetto: «Siamo per l'abrogazione della legge 30 e della riforma Moratti: quest'ultima ha precarizzato il lavoro di ricercatore, sancendo che potrà avere il tempo indeterminato solo il professore di serie A, l'ordinario. Chiediamo un investimento maggiore nell'università, in modo da stabilizzare i 55 mila precari in attesa da anni: non bastano semplici sanatorie, né il normale turn over. Si parla infatti di circa diecimila uscite nei prossimi anni, ben poca cosa». All'assemblea «Stop precarietà ora» la Rete dei ricercatori chiede maggiore coinvolgimento ai sindacati confederali: «Eravamo in centomila con gli studenti a protestare contro la riforma Moratti, ma i sindacati hanno fatto un sit in separato. Non è possibile continuare così: non possiamo litigare su questioni ideologiche quando la precarietà riguarda tutti. Nel nostro settore, senza negare l'importanza del tempo indeterminato per tutti, cerchiamo di venire incontro a chi chiede continuità di reddito, perché spesso il nostro è un lavoro intermittente per sua natura. Si possono estendere i diritti per tutti».