I puffi all'esame di Stato.

Gianfranco Giovannone, da DocentINclasse, 8/7/2006

 

Mentre ci diamo da fare per aiutare la collega addetta al verbale, alle prese con questo stramaledetto programma Conchiglia, guardo i miei colleghi e penso. Un ottimo consiglio di classe, in un ottimo liceo, non c’è che dire. Però penso. Penso che nella manovra per porre rimedio all’allegra gestione finanziaria di Tremonti si è parlato senza vergogna di risparmi sulla scuola e gli insegnanti: blocco degli scatti di anzianità, aumento dell’orario di lavoro, rinvio del contratto scaduto nel dicembre 2005.

I miei colleghi ne sanno ben poco, e se ne sanno qualcosa gliene importa pochissimo, quasi niente. Uno dice: sono tutte donne, e il loro status sociale è garantito dal marito cardiochirurgo o professore universitario.Ma non è così, è lo stesso per i colleghi maschi , nella mia e nelle scuole che conosco. Agli insegnanti, maschi o femmine che siano, dei soldi, vale a dire dell’avvilente considerazione sociale in cui si trovano da sempre, non importa molto.

E’ incredibile la risposta di quelli del foruminsegnanti, ai quali chiedevo di smetterla con la Moratti e occuparsi di cose serie. Mi hanno chiesto di entrare nel merito dei loro argomenti e “di non proporci il discorso fuorviante della sola monetizzazione del nostro lavoro”. E’ incredibile, ma è così.


Così come sono sicuro che non sanno che, in maniera ossessiva e offensiva, con chiari accenti punitivi tra poco si riproporrà con forza l’ennesima variante del concorsaccio berlingueriano, e questa volta passerà, l’opinione pubblica lo chiede con forza, come potete vedere benissimo dall’osceno articolo di Luigi Covatta sul Corriere (lo trovate sul sito: “Ignoranti, pelandroni e corporativi”) o dalle proposte pazzesche di Attilio Oliva al convegno TREELLLE (leggetevi “Grande Bepy Fioroni”). E ci si chiederà di prenderla sul serio, come una proposta nobile, che mira a migliorare la qualità della scuola, quando invece al ministero sanno benissimo che è – come lo era quello di Berlinguer – un misero espediente inventato per distribuire tra pochi i risicatissimi fondi destinati ai rinnovi contrattuali. Del resto l’ ARAN, in un documento di qualche anno fa lo diceva con franchezza.

E così pensavo. Mi chiedevo se, a proposito di dignità professionale, le mie colleghe sapevano che c’è un sindacato che da anni chiede un contratto per i soli docenti, perché le nostre problematiche non hanno niente a che vedere con quelle dei bidelli o del personale amministrativo, anche se la CGIL cerca per ovvii motivi di tenerci dentro il grottesco calderone dei “Lavoratori della conoscenza”.

E pensavo, ricordavo, che quando uscì il mio “Perché non sarò mai un insegnante” ho avuto molta più attenzione dai giornalisti e dal mondo accademico che dai colleghi. Pochissime telefonate di congratulazioni, rispetto alle innumerevoli e lusinghiere recensioni, da La stampa a La Repubblica,dal Sole 24ore a Famiglia Cristiana, dall’Unione Sarda al Corriere della Sera. E interviste su SkyTG24, Il Baco del Millennio, Fahrenheit, Radio24. Fino alla notizia che mi ha fatto più piacere, il libro è stato adottato tra i testi obbligatori presso il corso interfacoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Pisa.

Non è un fatto di vanità personale. Dal momento che il libro affrontava di petto gli aspetti più spinosi della condizione insegnante, e dal momento che uno dei bersagli era proprio il mondo giornalistico e accademico, mi sarei aspettato l’esatto contrario. Mi sarei aspettato, ad esempio, che quando, magari davanti a due o trecento colleghi, raccontavo dello scontro tra Cofferati e il ministro De Mauro, in cui il primo svelava tutto il disprezzo che una certa sinistra ha nutrito nei nostri confronti, o quando smascheravo le bugie che i confederali ci avevano raccontato sui “carichi di lavoro” per giustificare i nostri umilianti stipendi, si fosse manifestata nei volti degli insegnanti presenti rabbia e indignazione.

Invece la stessa rassegnazione che in fondo mi aveva spinto a scrivere il libro, gli stessi penosi autoinganni che hanno fatto dei docenti, come ha scritto Michele Serra, degli “impiegati pubblici depressi”, vittime consenzienti dell’arroganza del Berlinguer o della Moratti di turno.

Non è solo una questione di soldi, ovviamente. Dopo una presentazione, una collega mi si avvicinò avvilita perché, semplicemente citandolo, avevo distrutto il suo mito, quell’Umberto Galimberti che insieme a tanti altri aveva scritto delle gratuite e offensive stupidaggini sugli insegnanti. Non riusciva a crederci.Ma c’era chi aveva fatto di peggio: in diverse scuole avevo visto gli articoli di Galimberti, pieni di insulti nei nostri confronti, affissi in sala insegnanti come fossero acute riflessioni da proporre ai colleghi!

Pensavo a tutto questo, mentre il Conchiglia finalmente si sbloccava, pensavo a come una categoria di intellettuali, di donne e uomini di cultura prenda simili abbagli, di come non sappia vedere al di là del proprio naso, o dei “nostri ragazzi”, mentre attorno a noi, nella società, nell’opinione pubblica, parlano di noi con un disprezzo che fa venire i brividi: come ha scritto Giuseppe Fiori in questi anni “Si è passati da un ‘disprezzo tranquillo’ dell’opinione pubblica nei confronti di una categoria ‘miserabile, sì, ma in fondo innocua ad equiparare il titolo di professore ad un insulto”.

Una volta, parlando con un collega di questi problemi in una scuola dove ero appena arrivato, gli chiesi su chi potevo contare, volevo sapere quanti colleghi erano sensibili e reattivi a queste problematiche. La sua desolante risposta fu “Solo su te stesso”. Spero, con questo sito, di poter contare su un numero consistente di colleghi che non si sono ancora arresi. Forse, voglio sperare, non siamo solo allegri puffi intenti al nostro lavoro senza la voglia, la curiosità di guardarci intorno e pretendere un ruolo sociale più dignitoso.