In esclusiva per Aprileonline la prefazione di Tullio De Mauro
a"Prima di tutto, la scuola" di Acciarini e Sasso

Prima di tutto la scuola.

Questo libro di Chiara Acciarini e Alba Sasso ha molti meriti, che lettrici e lettori non mancheranno di cogliere e che, se si vogliono mettere in una ideale graduatoria, assumono in essa posizioni diverse a seconda dei punti di vista.

 

 Tullio De Mauro, da Aprile On Line.info del 29/7/2006

 

Chi pensa, come tutti dovremmo imparare a pensare, che i discorsi su scuola, apprendimento e insegnamento vadano fatti tenendo conto dei dati quantitativi, sa bene quanto tali dati siano dispersi in fonti diverse, dati Istat e dati ministeriali, elaborazioni Censis, dati OCSE, dati CEDE, ora INVALSI, dati di inchieste e confronti internazionali sugli stati degli apprendimenti… Un primo merito di Acciarini e Sasso è avere raccolto e selezionato pazientemente tutti dati essenziali e metterceli a disposizione in forma chiara e piana, citando ovviamente scrupolosamente ogni volta la fonte, nel lungo prezioso capitolo Nove milioni sui banchi. Il vantaggio per chi adopera dati quantitativi nella ricerca e nelle elaborazioni serie è evidente. Ma si può sperare che messi così in fila ordinata vogliano avere la pazienza di chinarsi su di essi e leggerli anche i nostri opinionisti dell'informazione corrente. Quelli di "un tempo sì, che la scuola ecc.", quelli per cui la scuola è il liceo classico, quelli che confondono gli istituti professionali di stato e i corsi regionali di formazione professionale o, come è successo per la verità a un sottoministro, le scuole dell'infanzia e gli asili nido. D'ora in poi loro, e tutti gli improvvisatori non avranno l'attenuante della difficoltà di andare a pescare i dati.

Ma i dati quantitativi non sono tutto. La loro significatività e prima ancora la loro scelta dipendono dai punti di vista. Molti anni fa, sul finire degli anni cinquanta, con l'aiuto di due valorose studiose di demografia e statistica, Nora Federici e Lydia Spaventa, ho cominciato a raccogliere dati sulla scuola italiana per capire se e quanto aveva potuto insegnare a leggere, scrivere e parlare italiano. A quel punto di vista sono restato affezionato, lo ritengo tuttora decisivo per capire aspetti importanti della nostra vicenda culturale e sociale, ma era ed è un punto di vista. Nelle discussioni dentro l'Associazione TreElle, ma anche con successivi ministri dell'economia e dintorni, dai tempi del governo Ciampi in poi, ho incontrato più volte il punto di vista di chi raccoglie e mette in fila dati in funzione del capire se si poteva, si può, si potrà ridurre il monte stipendi delle e degli insegnanti. Anche questo è un punto di vista.

Acciarini e Sasso ci aiutano a conquistarci un orizzonte più ampio. Anzitutto ci aiutano a partire da una conoscenza non superficiale del nostro sistema scolastico presente, passato, forse futuro. Senza nessun eccesso erudito, di nuovo con una forma assai piana, il primo capitolo soprattutto, Una breve storia (ma importanti riferimenti sono anche altrove), introduce alla conoscenza della nascita e formazione del nostro sistema scolastico.

Non intendo togliere nulla alle ricerche storiche e sistemiche più impegnative, come quelle di Giuseppe Ricuperati e Anna Laura Fadiga Zanatta o quelle più recenti, irsutamente, ma non inutilmente giuridico-amministrative di Aldo Sandulli, ma non vedo opinionisti a piede libero o troppi decisori politici che dedichino tempo alla loro lettura. E invece le pagine storiche del libro forniscono l'essenziale per sapere come si è andata sviluppando la scuola italiana dall'unificazione nazionale ai giorni nostri. E' un sapere essenziale. Chi dimentica o ignora che non centocinquanta, ma appena cinquanta anni fa "scuola d'élite" era in realtà non il numericamente esile liceo classico, ma ogni e qualunque tipo di scuola postelementare, compreso il "popolare" triennio di "avviamento al lavoro", e che, del resto, la stessa scuola elementare era ancora scuola minoritaria (negli anni cinquanta del Novecento il 60% della popolazione italiana era privo di licenza elementare), capisce assai poco di questo nostro paese e quasi niente della fatica di avere insegnato e insegnare, di avere imparato e imparare e dei processi di apprendimento quantitativi e qualitativi dei decenni a noi più vicini.
Questa consapevolezza ci viene data dalle due Autrici e anima l'intero libro fino alle conclusioni. La loro forza, la forza delle circostanziate pagine di proposte che fanno l’ultima parte del libro, ma anche la forza delle due Autrici, sta nel fatto che entrambe hanno vissuto nel mondo della scuola, lo conoscono a fondo dall'interno, e però ne sono state per dir così trascinate fuori, immesse nell'esperienza parlamentare, poste di fronte alla necessità di guardare al loro mondo di appartenenza anche dall'esterno, in una prospettiva complessiva, di politica nazionale.

Ci sarà ancora chi si ricorda di Antonio Gramsci in Italia? All'estero è fuori questione: è uno degli autori italiani più citati e attentamente studiati, come Eric Hobsbawm ha ricordato. Del resto oggi un buon motore di ricerca ce lo conferma: quasi tre milioni di testi nelle più varie lingue gli si riferiscono, quasi il doppio di quelli di Umberto Eco o Federico Fellini. Se anche in Italia qualcuno ancora se ne ricorda, ricorderà anche la sua equazione: "specialista + politico = intellettuale". Questo hanno saputo e sanno essere le due Autrici: specialiste di scuola, di scuola vissuta, che attraverso l'esperienza politica sanno darci una prospettiva non parcellare, ma complessivamente intellettuale della nostra scuola, delle sue miserie e ricchezze, delle sue ansie, delle speranze che ancora la animano e dovrebbero animare noi tutti, l'intera società italiana.

Insisto su quest'ultimo punto, profitto per farlo ancora una volta. La scuola non è di chi oggi è insegnante e di chi meritoriamente ci lavora, la scuola non è (come qualche sessantottino diceva) di studenti che la stanno frequentando, la scuola è di tutti quelli che pagano tasse e di tutti quelli cui serve. E non serve solo alle categorie in essa oggi impegnate, per quanto ampie, per quanto benemerite, per quanto bisognose di specifica attenzione. A chiunque viva in questo paese serve una scuola che promuova cultura e cittadinanza consapevoli e benessere individuale e sociale e innervi il loro sviluppo nell'intero corpo sociale, a partire da bambine e bambini ad arrivare a adulte e adulti perfino se non riusciremo ad attivare anche in Italia (come con Berlinguer si era cominciato a fare) un decente sistema di EdA, di educazione degli adulti. Come l'acqua e la corrente elettrica, come la salute, la risorsa scuola e istruzione è per tutti e di tutti. Se ci sono sprechi, impariamo a ridurli. Ma certo non andremo lontani chiudendo le condotte idriche, tagliando cavi elettrici, lasciando ammalarsi la gente. I danni colpirebbero tutti (colpiscono tutti in Sicilia, un'isola che, hanno detto i geologi in un loro rapporto del 2000, letteralmente galleggia su falde idriche controllate dalla mafia nell'inerzia di chi dovrebbe governare).

Mentre scrivo, mentre questo libro va in stampa, vedono la luce due testi. Uno, edito a New York nelle collane economiche di Springer. Ne è autore un esperto dell'Unione Europea e docente di materie economiche a Bologna, Attilio Stajano. Il titolo è Research, Quality, Competitiveness, European Union Technology Policy for the Information Society. Il libro è un'analisi ricca e dettagliata della correlazione positiva che lega crescita e sviluppo dei livelli di istruzione a crescita e sviluppo sia della produttività sia dell'ISU, dell'indice di sviluppo umano, nelle società contemporanee. Del resto, parecchi anni fa fu il filo rosso degli studi che allor giovani economisti misero insieme per il Mulino sotto la guida di Nicola Rossi in un libro che Acciarini e Sasso hanno avuto ben presente: L'istruzione: solo un pezzo di carta?

L' altro testo cui ho accennato è un manifesto sullo stato pessimo e le incerte prospettive che, dopo le malversazioni dell'attuale, dell'ancora attuale governo, caratterizzano il nostro sistema di ricerca. Dice all'inizio il manifesto: Non c’è paese evoluto e democratico in cui non si riconosca che trasmettere, rinnovare e acquisire conoscenze scientifiche avanzate è decisivo per l’evoluzione civile, il benessere sociale e lo sviluppo economico. Accettare e sostenere l'alto rischio intrinseco di investire risorse in queste attività caratterizza la civiltà di un Paese.

Imprenditori e finanzieri, svegliatevi. Svegliamoci tutti. Se non vogliamo precipitare a rotoloni lungo la china di un paese a civiltà sempre più limitata, come diceva Paolo Sylos Labini, dobbiamo investire risorse intellettuali e morali, politiche ed economiche nello sviluppo del nostro sistema di istruzione e ricerca. Ogni soldo destinato a scuola e istruzione non è una spesa né per i privati né per lo Stato. E' un investimento in salute, sicurezza, sviluppo di tutti e tutte. Forse avremmo dovuto spiegarlo meglio a chi ha governato e governa. Speriamo, con questo libro agile, piano, illuminante e stringente, di farlo meglio in un futuro non troppo remoto.