Gli orfani della Moratti.
Gianfranco Giovannone, da
DocentINclasse, 24/6/2006
Davvero non se ne può più. Scorrendo i siti più
importanti della scuola – fuoriregistro, retescuole, foruminsegnanti –
il nome dell’attuale sindaco di Milano imperversa più che mai, una
sorta di ossessione monomaniaca di cui non si riesce a liberarsi.
Il governo di centro-sinistra viene veementemente tacciato di ignavia
e di tradimento perché non si decide ad abrogare le rovinose leggi del
quinquennio berlusconiano, ma si limita a democristianissimi rattoppi
e rinvii. Certo, non si capisce cosa si vorrebbe salvare di quei
bizzarri e fastidiosissimi provvedimenti, però io ritengo che il
ministro Fioroni stia dando prova di un notevole buon senso
nell’auspicare la fine del selvaggio riformismo inaugurato dieci anni
fa da Berlinguer e chiedere una pausa di riflessione in cui la
“comunità” della scuola riesca a ritrovare la bussola.
E sono convinto che il suo tranquillo rinviare sia un modo, magari
molto democristiano, per affossare in silenzio una riforma che nessuno
rimpiange. Non solo a sinistra: vi sarete accorti che il blocco della
sperimentazione della riforma del superiore, l’abolizione (di fatto)
del portfolio e del tutor non hanno suscitato alcuna reazione nel
blocco politico che aveva strenuamente difeso quelle “riforme”. Un po’
dispiace, sinceramente, nessuno alza un dito per la povera Moratti che
tanto si era prodigata. E non si può non rivolgere un commosso
pensiero a Bertagna e agli altri pedagogisti che le avevano messo a
disposizione una tale monumentale e folle opera di ingegneria
scolastica.
Perché il riformismo di questi dieci anni non è stato che questo: il
delirio di due megalomani come Berlinguer e la Moratti che volevano
passare alla storia come gli artefici di una coraggiosa e moderna
Grande Riforma, come i Gentile del nuovo millennio. E per questo hanno
messo al lavoro il ceto pedagogico che si è sbizzarrito sfornando una
dietro l’altra le bislacche “riforme” che tutti conosciamo, anche se
si stentava e si stenta a intravedere il Grande Disegno Unitario che
le sottintendeva.
L’aspetto comico è che non erano né di sinistra né di destra, solo
incredibilmente stupide. Entrambi accomunati dall’arroganza e dalla
mancanza di rispetto per noi insegnanti, chiamati a prendere sul serio
e ad implementare quei grandiosi deliri paranoici. Era in fondo la
stessa riforma: andate a leggervi con quanta foga il “sinistro”
Vittorio Campione difende la continuità Berlinguer/Moratti che solo
gli insegnanti, beceri e reazionari, non hanno voluto capire (Tutta
un’altra scuola, il Mulino 2005).
Il fatto è che per dieci anni ci siamo occupati solo di loro.
Trascurando le vere, necessarie, modeste(?) riforme che tutti si
aspettavano. C’era da rivitalizzare tutto il settore della scuola
tecnica e professionale che, dopo dieci anni di questo riformismo a
vuoto, ha toccato il suo massimo degrado. E ricordo che questo settore
è quello che interessa il 70/% dei nostri studenti. C’era da
affrontare la drammatica perdita di competitività del nostro sistema
educativo, soprattutto nel nostro meridione, come puntualmente ci
informano le comparazioni internazionali come il rapporto PISA. In
alcuni casi c’erano da rivedere i programmi e le finalità di alcuni
insegnamenti, penso alle scienze, alla matematica, alla fisica, la cui
crisi coinvolge l’università, la questione della fuga dei cervelli,
ecc. La conoscenza comunicativa dell’inglese ( e dico volutamente
inglese, non le lingue comunitarie di cui alle famiglie – a torto? –
non interessa un tubo), modestissima, nonostante la retorica delle tre
“I”. E molte altre “piccole” questioni ancora, che giustamente non
potevano appassionare il Berlinguer e la Moratti, persi nei loro sogni
di gloria.
Ma c’era soprattutto da ridare dignità e ruolo sociale agli
insegnanti. Oggi su Repubblica, Michele Serra ci definisce, e non a
torto, “dipendenti pubblici depressi”. Nel bel libro di Umberto Fiori,
Tutto bene, professore?, appena recensito nel nostro sito, si dice che
nella società italiana si è passati da un ‘disprezzo tranquillo’
dell’opinione pubblica nei confronti di una categoria ‘miserabile, sì,
ma in fondo innocua ’ ad equiparare il titolo di professore ad un
insulto.
Nel programma dell’Unione si leggeva : “Un ruolo centrale lo avranno
gli insegnanti, la cui professione riveste un ruolo strategico per il
paese. Vogliamo rendere l’insegnamento una scelta appetibile per i
migliori talenti…”.
Bene: sapete quanti sono, su circa 700.000 docenti i colleghi sotto i
trent’anni? Solo 5000. Allora la prima cosa da fare sarebbe favorire
lo svecchiamento della categoria che ha in media (!) più di cinquant’anni
con i prepensionamenti e con, finalmente, l’assunzione in ruolo dei
precari.
E poi ci sono i soldi, cari amici di fuoriregistro, foruminsegnanti e
retescuole, noi ne parliamo spesso sul nostro sito, non voliamo alti e
signorili come voi.
Perché i soldi sono l’unico modo in cui la società può riconoscere il
nostro ruolo, e uno stipendio di € 1500 di media rispecchia solo il
disprezzo della società nei nostri confronti, altro che continuare a
prendersela con il fantasma della Moratti. E l’unico modo che io
conosca per far sì che l’aria fritta del programma dell’Unione non
rimanga aria fritta è un piano gradualistico come quello pensato
dall’ex-ministro De Mauro che, attraverso tre o quattro o anche cinque
leggi finanziarie, ci avvicini alla media degli stipendi europei.
Ma i segni che vediamo in questi giorni sono pessimi: nella manovra
per porre rimedio all’allegra gestione finanziaria di Tremonti si
vocifera, senza alcuna vergogna, di risparmi sulla scuola e gli
insegnanti: blocco degli scatti di anzianità, blocco del turn over,
aumento dell’orario di lavoro, rinvio del contratto di lavoro scaduto
il 31 dicembre 2005,aumento del numero degli studenti per classe.
Per noi insegnanti c'è sempre un'emergenza in agguato, mentre si
continuano a coccolare gli evasori fiscali, le mitiche partite IVA che
dichiarano imponibili da meno di 25000 euro (dati ISTAT e Banca
d'Italia).
Davvero, è il momento di darci un taglio con gli orfani della Moratti,
e pensare alle cose serie.
Gianfranco Giovannone