Il ministro dell’Istruzione apre alla multietnicità e boccia il piano della devolution:
non ci sarà una «mia» riforma, abrogare in certi casi è positivo
«Scuola, niente bonus alle private Tra i progetti i corsi di Corano»Fioroni:
mancano i prof maschi, vanno introdotte le quote blu.

Scuola, niente bonus alle private
Tra i progetti i corsi di Corano.

di Paolo Conti  da Il Corriere della Sera del 16/6/2006

 

ROMA - Dicono (e scrivono) che la scuola italiana sia morta, ministro Giuseppe Fioroni. «Falso. È viva, nonostante bombardamenti e traversate nel deserto. C’è bisogno di un progetto condiviso da genitori, studenti, docenti e non docenti. Non occorre un ministro dirigista ma uno che contribuisca a definire la cornice di riferimento della scuola pubblica italiana».

 

Perché ripristinare l’aggettivo «pubblica» accanto a «istruzione»? Contro la scuola privata, magari?

«La scuola è un servizio pubblico, un diritto sancito dalla costituzione. A prescindere da chi lo eroga. Per questo è gravissimo il progetto della devolution: quel diritto può cambiare a seconda dei soldi a disposizione della famiglia e del luogo in cui si nasce. Invece noi dobbiamo coniugare l’equità dei diritti con l’eccellenza nella formazione».

 

Niente più bonus alla scuola privata, insomma?

«Di certo io non sarò un monumento alla differenza che passa tra le parole e i fatti, com’è avvenuto col precedente governo. Rispondo così: chi ci ha preceduto non ha rifinanziato il bonus per il 2007. E rispetto al governo D’Alema, mancano 167 milioni di euro a disposizione della parità scolastica per lo stesso anno. Comunque un vero servizio pubblico non lascia indietro nessuno: diversamente abili, immigrati, svantaggiati per reddito o per situazione sociale».

 

Faccia qualche esempio concreto

«Per i diversamente abili occorrerà rivedere l’attribuzione di insegnanti di sostegno sulla base delle esigenze concrete attraverso un collegamento scuola-Regioni-aziende sanitarie. Poi, una società proiettata verso la multietnicità deve garantire agli immigrati la formazione alla nuova cittadinanza con i diritti e i doveri, l’insegnamento dell’italiano ma anche il diritto al mantenimento delle proprie radici con corsi di storia e lingua del Paese di origine».

 

Benedetto XVI non è ostile ai corsi di Corano. E lei, ministro?

«Non escludo niente. Il problema è allo studio. Bisognerà esaminare le intese con le singole confessioni religiose. Penso anche che l’Italia debba avere un ruolo strategico nel Mediterraneo, e i nostri studenti potranno contribuire a costruire sicurezza e pace dialogando con i ragazzi dei Paesi del Medio Oriente».

 

Adesso parliamo di insegnanti, ministro...

«Siamo l’unico settore che non ha bisogno delle quote rosa ma di quote blu. Solo un insegnante su cinque è maschio. La completa femminilizzazione dell’insegnamento sarebbe un errore. Occorre rendere più appetibile questa professione e ridarle dignità».

 

Qui arriviamo a un punto toccato dal governatore Draghi: «occorrono nuove regole che premino docenti e ricercatori». Altrimenti la professione come può essere «appetibile»?

«Molti italiani pensano che in questo dicastero si spenda troppo e male. Dovremo operare sul bilancio per evitare sprechi che danneggino gli studenti. Ma poi basta con i tagli alla spesa scolastica: ci vorranno investimenti per raggiungere il livello di sapere che ci prefissiamo. Altro tema è quello di verificare la qualità dei risultati delle scuole per rendere sempre più produttivo l’investimento per i ragazzi. I premi agli insegnanti? Avvieremo un processo di condivisione nel mondo della scuola per valutare i risultati di ciascun istituto. Poi, con l’autonomia, gli organi potranno adottare i provvedimenti anche economici più idonei in assoluta trasparenza. Urge poi un piano quinquennale di messa a norma degli edifici scolastici. Il 50% ne è sprovvisto, il 40% non ha abbattuto le barriere architettoniche. Prima di puntare al meglio è obbligatoria la tutela del diritto essenziale: i nostri figli che studiano al sicuro».

 

C’è vento di abrogazione della riforma Moratti...

«Non ci sarà una "mia" riforma. Ma la scuola chiede stabilità e certezze. Abrogare, in certi casi, significa conservare ed esprimere un giudizio positivo su ciò che c’era prima. Ci vuole sano pragmatismo. Il tutor? Non è applicabile perché manca l’accordo sindacale obbligatorio per legge. Il Portfolio? Non si può far rischiare ai nostri insegnanti di violare la privacy. Per il primo ciclo, dunque, c’è bisogno di modifiche mirate. Per il secondo ciclo, invece, intendo presentare al Parlamento una proroga di 18 mesi per i decreti legislativi non scaduti della legge delega 53 e conseguentemente il differimento al 2008-2009 dell’entrata in vigore. Per innalzare il livello culturale di tutti l’istruzione obbligatoria sarà prolungata di due anni e sarà necessario far passare dai 15 ai 16 anni l’età minima di accesso al lavoro. Il nuovo biennio assicurerà sia il completamento della formazione di base sia lo sviluppo delle capacità di orientamento e di scelta dei percorsi successivi. La didattica valorizzerà gli stili di apprendimento. Poi prendo un impegno preciso sul rilancio degli istituti tecnici e professionali: il nostro Paese ne ha bisogno».

 

Passiamo alla politica, alla questione dei cattolici rispetto al programma dell’Unione e ad altri fronti che si aprono: dalla «stanza del buco» in giù...

«Sui temi della bioetica va fatto un lavoro comune nell’Ulivo e nell’Unione. Ma va anche rispettata la libertà di coscienza della singola persona».

 

Anche del politico, o del ministro, che vota in Parlamento?

«Certo. Il programma di governo e della maggioranza contiene alcuni elementi eticamente sensibili sui quali c’è accordo. Sugli altri occorre discutere e lavorare con saggezza».

 

Ma così non si crea confusione nell’azione di governo, con tanti possibili scontri interni tra laici e cattolici?

«Il pluralismo culturale e il rispetto delle coscienze sono valori caratterizzanti di un governo che si definisce autenticamente democratico».

 

Per arrivare a un tema concreto: Pacs sì o no?

«I Pacs non sono nel programma della maggioranza. Le unioni civili, la tutela dei diritti delle persone che convivono sì. Farò un altro esempio. Prendiamo l’eugenetica e l’eutanasia. Sono temi che interpellano direttamente la qualità della vita degna d’essere vissuta e quella degna di nascere. Interrogano la nostra coscienza e con quella dobbiamo confrontarci. La signoria della vita e della morte non sono temi sui quali si possano fondare programmi di governo. È accaduto purtroppo in altri periodi storici e sotto ben altri sistemi».

 

Monsignor Fisichella ricorda che l’appartenenza ecclesiale è importante quanto quella politica. Lei cosa pensa?

«La laicità dello Stato non è in discussione come la reciproca autonomia. La Chiesa ha il diritto di richiamare le coscienze, lo Stato ha il dovere di decidere e di assicurare risposte ai bisogni del Paese. Bisogna dunque decidere da laici. Avendo il senso del limite della politica rispetto ad alcuni valori».