Referendum Costituzionale

Il parere del costituzionalista:

intervista con il professor Giovanni Tarli Barbieri*.

 di Renza Bertuzzi, dal sito nazionale della Gilda degli Insegnanti, 1/6/2006

 

In questa legge, una concentrazione anomala e potenzialmente pericolosa di potere politico in un soggetto e mera apparenza la devolution.

Professor Tarli Barbieri, quale valutazione esprime il costituzionalista della revisione costituzionale su cui il corpo elettorale si pronuncerà con il referendum i prossimi 25 e 26 giugno ?

Diciamo che i rilievi si fondano sul metodo e sui contenuti.

Rispetto al metodo, occorre ricordare che esso mutua una scelta già anticipata dal Centro sinistra nel 2001, con la Riforma del Titolo V , per cui la Riforma della Costituzione non viene più considerata come terreno da condividere, ma come un’ azione della sola maggioranza di turno che fa proprie le riforme.

Fino a quel momento, le riforme costituzionali erano state fatte sempre con il consenso delle minoranze.

Tuttavia, questo indubbio errore del Centro sinistra non può legittimare un successivo, più grave errore, anche perché la Riforma del Titolo V , riprende soluzioni della Commissione Bicamerale “D’Alema”, su cui il Polo aveva espresso un consenso, poi “revocato” in seguito all’accordo con la Lega Nord. Poi, questa riforma era stata approvata con il consenso delle Regioni, allora governate in maggioranza dal Centro destra .

Quali sono i contenuti di questa legge?

Vediamoli in sintesi.

1) Il Bicameralismo. Si tratta di un tema ormai sul tavolo delle riforme già dagli anni settanta, poiché è giudizio ampiamente condiviso che il nostro assetto del Parlamento, articolato su due Camere con le stesse funzioni, non è razionale.

Peraltro, il tema dell’assetto del Parlamento è cruciale anche nell’ottica della valorizzazione delle Regioni: è noto, infatti, che negli ordinamenti federali una delle due Camere rappresenta le autonomie.

Se questo è vero, però questa legge non pone soluzioni, infatti, il Senato federale della Repubblica è una Camera a suffragio universale che non ha collegamenti con le Regioni ( il 127 ter prevede canali di collegamento molto blandi).

2) Il procedimento legislativo. Il progetto su questo punto presenta un inestricabile guazzabuglio. Il procedimento legislativo seguirebbe percorsi diversi a seconda della materia del progetto di legge. Si tratta di una scelta sbagliata e pericolosa, dato che i progetti di legge quasi mai disciplinano una singola materia ma fenomeni spesso complessi che, come tali, attraversano più ambiti materiali.

Inoltre, il Senato sarebbe coinvolto massicciamente nel procedimento legislativo, avendo competenza prevalente su numerose materie, pur non essendo una Camera “politica” ma, almeno apparentemente “territoriale”. Per ovviare a questo “inconveniente” il “nuovo” art. 70 attribuirebbe al Capo dello Stato la possibilità di autorizzare il Governo, in ultima analisi, a “espropriare” il Senato del potere decisionale per trasferirlo alla Camera dei deputati: anche in questo caso, il sistema appare assai farraginoso e discutibile.

3) Forma di governo. Il modello proposto non ha eguali nel diritto comparato,

poiché esalta eccessivamente le prerogative del primo Ministro che non sarebbe eletto direttamente dai cittadini ma risulterebbe collegato ad una lista (o a più liste) di candidati.

Oltre a vedersi riconoscere forti prerogative nel procedimento legislativo (così, in particolare, la possibilità di chiedere il “voto bloccato” su una proposta del Governo e di porre la questione di fiducia) egli avrebbe il potere di scioglimento della Camera dei deputati salvo alcune eccezioni nelle quali sarebbe consentito alla maggioranza parlamentare (peraltro solo se corrispondente alla maggioranza di parlamentari collegata al Primo ministro) di esprimere un nuovo Premier.

Si tratterebbe quindi di un’innovazione tale da qualificare il Primo ministro come soggetto immediatamente investito del potere, tale da controllare e, ancor più, da dominare la propria maggioranza. Come ha esattamente osservato di recente il prof. Onida, l’esito sarebbe una concentrazione anomala e potenzialmente pericolosa di potere politico in un soggetto.

4) Il Titolo V. La Riforma del Centro sinistra del 2001 è stata una brutta riforma, perché ha determinato un aumento dei casi di contenzioso, ma anche perché non è stata poi attuata nella legislatura appena conclusa. Ed anzi, il Governo di centro destra ha impostato la propria azione su criteri molto centralistici.

Questa legge in un certo senso migliora la situazione perché, da un lato, ricolloca allo Stato materie che prima erano di competenza delle Regioni, e, dall’altro, introduce la Devolution, cioè la competenza esclusiva alle Regioni in alcune non irrilevanti materie (sanità, scuola, polizia amministrativa regionale e locale).

Ma tale competenza assai impropriamente si potrebbe definire “esclusiva” non solo perché in queste stesse materie lo Stato conserverebbe titoli competenziali a loro volta “esclusivi” (si pensi, in materia di scuola, alle “norme generali sull’istruzione) ma perché tutte le leggi regionali sarebbero sottoposte al limite dell’interesse nazionale. Se tale limite sarà interpretato come lo era prima della riforma del 2001, la devolution rischierà di essere poco più di una mera apparenza.
 

 a cura di Renza Bertuzzi
 

* Giovanni Tarli Barbieri è docente di Diritto costituzionale presso l’ Università di Firenze