Maturità dopo il buio.
di Marina Boscaino, da
l'Unità
del 21/6/2006
Il 17 giugno il consiglio dei ministri ha
approvato un decreto legge che garantirà la corresponsione dei
compensi degli esami di maturità; all'appello mancavano circa 45
milioni di euro, un ammanco che il ministro della Pubblica Istruzione,
Giuseppe Fioroni, si era ritrovato da chi lo aveva preceduto, Letizia
Moratti. Possiamo quindi tirare un sospiro di sollievo per aver
scampato l'ennesimo attentato alla nostra dignità professionale e
umana da parte del per fortuna ex ministro e concederci una
divagazione sulla storia recente; riflettendo sulla prova conclusiva
del percorso superiore. Un momento importante, che ognuno ricorda; ma
che nel corso degli anni ha progressivamente perso credibilità e
valore oggettivo. Basti pensare che sono pochissimi gli atenei
italiani in cui il voto di maturità vale ancora qualcosa.
Nel 1997, dopo discussioni interminabili, si emana la riforma degli
esami di maturità, la legge 425. Con quella legge vengono adeguati i
nostri studi secondari a finalità e obiettivi riferibili a prospettive
più ampie, in particolare a quelli indicati dall'Ue, con un quadro di
riferimento extranazionale sia dal punto di vista culturale che
lavorativo. I contenuti e le forme stesse dell'esame vengono
rinnovati, tenendo presenti soprattutto gli sviluppi della ricerca
educativa dagli anni Settanta in poi. Se l'esame di maturità uscito
dalla legge precedente (119/69) prevedeva «come fine la valutazione
globale della personalità del candidato», nel '97 si afferma che
l'esame ha il fine di certificare le conoscenze, competenze e capacità
acquisite dall'alunno: un giudizio sulla personalità non solo non
compete alla scuola, ma espone il candidato a derive soggettivistiche
poco auspicabili; la scuola certifica ciò che lo studente sa e sa
fare. E, per valutare, essa si è fornita di prove ad alto livello di
strutturazione e misurazioni da effettuarsi mediante punteggi. La
commissione d'esame è costituita da un 50% di membri interni, un 50%
di membri esterni più un presidente esterno. Una riforma radicale,
dunque, i cui limiti sono stati prevalentemente individuati nel fatto
che una rivoluzione così evidente nella forma e nella sostanza avrebbe
dovuto concludere una precedente rivoluzione del quinquennio
scolastico, che invece rimaneva (e rimane) legato alle caratteristiche
di sempre.
Poi venne la Moratti. E fu il buio totale. La legge del 97 godeva
dell'autorevolezza derivante dall'essere frutto di un pensiero
competente, di un progetto di scuola; un'anticipazione di una
direzione verso la quale andare; la Moratti ha giustapposto a questo
impianto provvedimenti dettati esclusivamente dalla sua lettura
mercantilistica dell'istruzione. E dalle economie di spesa che il
Governo Belrusconi ha imposto puntualmente alla scuola italiana. Con
un provvedimento contenuto nella Finanziaria 2001 - evidentemente
dettato, più che da preoccupazioni didattiche ed educative, dalla
solita incontenibile politica di risparmio sul sistema dell'istruzione
pubblico e dai consueti favoritismi per quello privato - il Governo di
centrodestra impose commissioni d'esame composte da membri interni
(gli insegnanti del corso di studio) e da un membro esterno (il
presidente) attribuito a più commissioni. Da quel momento per un
gruppo di classi dello stesso istituto impegnante nell'esame è stato
nominato un unico presidente, ridotto evidentemente ad un'inutile
propaggine burocratico-amministrativa. Nelle scuole private ciò ha
significato, altrettanto evidentemente, la possibilità di sostenere
l'esame davanti ad una commissione compiacente, pagata dallo stesso
istituto cui il candidato eroga la retta mensile. Nella stessa sede
veniva deliberato che le scuole paritarie potessero accogliere
candidati privatisti esterni. Le cronache di questi anni si sono fatte
carico di rivelare l'esistenza di una rete di istituti scolastici
paritari e legalmente riconosciuti, centri privati e società di
assistenza e recupero di anni scolastici implicata in un infame
traffico di compravendita di diplomi scolastici. Ecco spiegato il
fenomeno della «piramide rovesciata», che caratterizza curiosamente -
ma non troppo - le iscrizioni alle scuole private: un incremento
progressivo delle iscrizioni alle ultime classi e un boom
incontrollabile delle iscrizioni alla classe d'uscita; pochi iscritti
nelle prime classi, sempre più nelle classi di mezzo, moltissimi
all'ultimo anno. In un'interrogazione alla Camera di qualche giorno fa
l'on. Nicola Tranfaglia (PdCI) chiedeva al Ministro Fioroni se avesse
l'intenzione di intervenire sulle commissioni di maturità, prevedendo
la presenza di commissari interni ed esterni, evidenziando come negli
ultimi 4 anni le maturità nelle scuole parificate siano aumentate da
200 a 4000. Il neoministro ha testualmente risposto di ritenere
necessario «l'instaurarsi di una corretta dialettica con tutte le
forze politiche e sociali. Tale dialettica dovrebbe consentire,
successivamente, di operare organicamente sul piano normativo, anche
con riguardo all'elevamento dell'obbligo scolastico, nell'ambito di
una visione unitaria e nazionale del sistema educativo, nonché alla
composizione degli esami di Stato». D'altra parte il programma
dell'Unione recita testualmente a p. 232: «Il secondo ciclo di
istruzione, in ogni caso quinquennale, si conclude con un esame di
Stato, con commissioni a prevalente composizione esterna». Parole da
accogliere, ancora una volta, con sollievo e ottimismo. Perché
allontanano lo spettro dei 5 anni bui che abbiamo alle spalle.
Abbiamo quindi un anno da oggi per ripensare l'esame come momento
conclusivo di un percorso all'interno di una riflessione generale
sulla scuola superiore. Per restituire dignità e credibilità alle
certificazioni, anche a livello europeo. Per sottrarre gli insegnanti
ad un rituale stanco, privo ormai della serietà e della solennità che
non sia quella che molti di noi continuano volonterosamente ad
attribuirgli. Per dare un senso non solo burocratico al nostro fare
scuola. Per scongiurare questo sdoppiamento di ruolo schizofrenico che
ci piomba improvvisamente nel ruolo di esaminatori demotivati dopo
essere stati insegnanti per tanti anni dei nostri ragazzi. Per
garantire agli studenti italiani la giusta valutazione del loro
percorso formativo, di ciò che hanno compreso, imparato, imparato a
fare. Se, come appare evidente e sensato fare, occorre attribuire a
quest'esperienza una valenza educativa oltre che meramente numerica,
la strada che ci troviamo a percorrere oggi non è la più indicata.
Perché non fa emergere sufficientemente l'idea che serietà, onestà,
educazione civica sono strumenti imprescindibili per costruire la
persona. E che la scuola è una cosa seria, di cui occorre aver cura.