IL DIBATTITO
Posizioni diverse di fronte all’esempio americano. «Utile.
No, meglio adeguare i compensi a tutti gli insegnanti e favorire gli aggiornamenti»

Studenti preparati, professori premiati?

È polemica.

La proposta: aumenti di stipendio ai docenti che ottengono risultati migliori.
I sindacati: di chi e su cosa la valutazione?

Annachiara Sacchi, Il Corriere della Sera ed. di Milano del 23/1/2006

 

I requisiti «didattici»: conoscere alla perfezione la propria materia, aggiornarsi continuamente, seguire il programma senza perdere troppo tempo, saper valutare la preparazione degli studenti. I requisiti «umani»: avere un rapporto costante con i ragazzi, lasciarli sbagliare, guidarli nel difficile cammino della crescita. Il bravo insegnante e le sue caratteristiche. Difficili da codificare: troppe variabili, troppe discriminanti. Il «mito» dei ragazzi, il docente che spiega e non interroga se non a richiesta, non sempre è apprezzato dai colleghi o dalle famiglie. E dunque, bravo uguale buono o bravo uguale severo? Una risposta a questo difficile quesito arriva dagli americani che insistono sul «premio aziendale» agli insegnanti che hanno gli studenti migliori. La proposta: se gli allievi ottengono punteggi più alti nei test, al loro professore si incrementi la busta paga del quindici, venti per cento. Lo chiamano merit pay : pochi consensi (troppe divisioni) ma un grande merito: riaprire la discussione anche in Italia.

Allora, chi è il prof «capace e meritevole» da incentivare anche con un aumento di stipendio? Un tempo c'era il «concorso per merito distinto» (abolito nel 1974), fatto per dare un premio economico ai «bravi insegnanti». Il ministro Luigi Berlinguer propose il «concorsone», sommerso dalle proteste.

«La discussione sul riconoscimento alla professionalità - precisa Wolfango Pirelli, segretario lombardo di Cgil scuola - è delicatissimo. Troppi nodi: chi valuta? E cosa si valuta: la qualità dell’insegnamento, la preparazione del docente o i risultati? Ma in questo caso bisogna tenere conto della provenienza dei ragazzi». Pirelli sospira: «Prima di tutto bisognerebbe adeguare gli stipendi di tutti gli insegnanti agli standard europei e favorire gli aggiornamenti».

Professori preparati e «grandi professori», quelli che hanno segnato la crescita e, in qualche caso, la vita di ognuno. «Il buon insegnante è quello che ricordiamo». Parola dello psicologo Fulvio Scaparro: «È quello che lascia un’impressione positiva per il rapporto che si è creato. E per far sì che questo legame sia positivo servono tre ingredienti: lo studente deve sentirsi accettato e ascoltato, seguito e guidato (e qui conta la preparazione dell’insegnante) e, infine, spinto a camminare con le proprie gambe, a essere autonomo. Se manca una di queste tre variabili, la relazione vacilla».
Un compito difficile. «Certo - sottolinea Guido Panseri, docente di storia e filosofia al liceo classico Berchet -, ma se così non fosse potremmo essere sostituiti dai computer. Il buon insegnante, invece, è quello che sa intendere "clinicamente" lo studente e interagire con lui con passione di ricerca comune. La competenza tecnica si dà per scontata, ma non può risolvere da sola questo delicato viaggio di formazione».