Il decreto sulla giunta centrale: Oggi la decisione del Tar

Giù le mani dalla storia

La Germania ci osserva con sdegno perché lì la ricerca è indipendente
Il tentativo del governo italiano di addomesticare gli storici

Emanuele Conte, la Repubblica dell'11/1/2006

 

Sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il nuovo regolamento che riforma la struttura degli istituti storici italiani e della giunta centrale che li governa. Secondo le nuove regole, i direttori degli istituti sono nominati a tempo e rinnovabili per un solo mandato, ma le nomine vengono attribuite al Ministero per i Beni Culturali senza che sia previsto alcun procedimento di consultazione della comunità degli storici. Solo la politica, insomma, governerà l’attività di ricerca e di orientamento della Storia che la nostra Repubblica affida ad un piccolo gruppo di istituti che si occupano di antichità, di Medioevo, di età moderna e contemporanea, di Risorgimento. Oggi il Tar dovrà pronunciarsi sulla richiesta di sospensione del decreto avanzata dai membri della giunta centrale.

Le reazioni degli storici italiani non sono state troppo vivaci. Dall’estero, invece, sono pervenuti messaggi indignati, indirizzati al ministro Buttiglione ed al Presidente Ciampi. Più massiccia è stata la reazione degli storici tedeschi, che hanno appreso dell’iniziativa del governo da un articolo fortemente critico apparso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Storici autorevoli hanno sentito il dovere di manifestare il proprio sconcerto di fronte alla nuova disciplina governativa che pretende di far calare dall’alto l’orientamento della ricerca storica. Questa prevalenza di reazioni tedesche non è senza ragione. Da una parte, essa riflette la particolare sensibilità di quella cultura al valore della ricerca storica. D’altra parte il tema dell’assoluta indipendenza dell’indagine storica dal potere politico è per i tedeschi un valore di enorme importanza. Il forte radicamento della cultura storica in Germania aveva infatti provocato, sotto il regime nazista, una politicizzazione della ricostruzione storica che ne aveva compromesso l'obiettività. Per questo, nel dopoguerra, la Germania dell’Ovest aveva tutelato l’indipendenza delle istituzioni di ricerca.

Anche in Germania l'autorità che nomina i direttori dei grandi istituti storici è in certi casi quella politica; essa però non può scegliere arbitrariamente uno storico qualsiasi, ma deve limitarsi a confermare lo studioso prescelto dalla comunità degli storici. Lo stesso accade, ad esempio, in Francia, dove gli storici più autorevoli protestano contro qualche tentativo del potere politico di influire sulla libertà della ricostruzione storica. La ricerca storica che si svolge nei Paesi avanzati è un’attività libera che non può essere sospettata di obbedire a criteri di natura politica. Si capisce, allora, che il nuovo regolamento italiano abbia destato tanto sdegno da parte degli storici tedeschi, che minacciano di interrompere tutte le relazioni scientifiche con gli istituti italiani. «Con le marionette della politica (italiana) - scrive un medievista - non avrà luogo alcuna cooperazione scientifica».

Ora, la cultura italiana è già abbastanza marginale per potersi permettere un isolamento ancor maggiore. La cooperazione con istituzioni straniere è indispensabile non soltanto per costruire una comune storia d’Europa, ma anche per portare a compimento la riflessione storica sul Novecento italiano. Compito del Governo sarebbe stato di favorire questa attività: di rendere più agevoli le collaborazioni internazionali, di affidare gli istituti nazionali a personalità comunemente riconosciute, di lasciare che le questioni storiografiche siano definite dagli storici, senza cercare di imporle dall’alto. Ma anche su questo punto, come su tanti altri, la credibilità internazionale dell’Italia sta soltanto sui cartelloni del Presidente del Consiglio: chi si trova a dialogare con gli storici europei, invece, prova soltanto un invincibile senso di vergogna.