Handicap: smettiamola di giocare coi nomi!.
di Dedalus, da
ScuolaOggi del
16/1/2006
La legge n.104 del 1992, da annoverare
sicuramente fra le leggi più avanzate del nostro sistema giuridico, si
intitolava "Legge-quadro per
l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate". Per quanto riguarda
in particolare l’integrazione scolastica degli alunni con handicap,
essa individuava nodi e problematiche concrete indicando soluzioni
d’avanguardia. Talmente d’avanguardia che - come per molte norme in
Italia - diverse disposizioni sono rimaste sulla carta. Ciò non toglie
nulla al valore di quella legge che resta un importante punto di
riferimento.
Si parlava, allora, di “persona handicappata”. Qualche anno dopo
iniziò il vezzo di stemperare il termine: invece di “persona
handicappata” si preferì dire “soggetti
in situazione di handicap”, quasi
a rendere più lieve e meno brutale l’espressione.
In tempi successivi si cominciò ad usare il termine “disabile” e poi
ancora, per venire ai giorni nostri, “diversamente abile”, con
l’intento, pensiamo, di mettere in evidenza e valorizzare le
potenzialità residue o altre
capacità.
Nel frattempo, al posto di ciechi si passò a dire non vedenti. Adesso
pare che invece di “sordomuti” si debba dire “sordi pre-verbali”
(sic).
Ora, questo continuo cambiare il nome per definire i soggetti con
handicap rischia di essere un esercizio retorico di pessimo gusto, per
non dire ipocrita e fuori luogo. Soprattutto se si pensa al fatto che
cambiano i nomi ma non la realtà sottostante.
Per fare un esempio, sempre con riferimento alla scuola: gli alunni
con handicap (chiamiamoli più semplicemente così) hanno diritto ad
essere seguiti da un insegnante di sostegno, vale a dire da un
insegnante specializzato, con competenze specifiche per l’integrazione
e l’inserimento scolastico. (art.13, comma 3, L.104/92).
Ebbene, nelle scuole milanesi ma non solo, continua ad esserci una
percentuale elevatissima di supplenti senza alcun titolo, ai quali
questi posti, in assenza di personale specializzato, vengono
assegnati. Così come capita che sui posti cosiddetti “in deroga”, vale
a dire sugli alunni più gravi (con un rapporto alunno/ins.di sostegno
1:1), si verifica regolarmente tutti gli anni un turnover continuo di
figure di sostegno, sovente appunto senza titolo alcuno. In pratica,
gli alunni più “deboli”, che hanno più bisogno di assistenza e
tutorato (a proposito di tutor..!), sono quelli meno garantiti. Senza
docenti con preparazione specifica e senza continuità didattica. Non
parliamo poi della continuità educativa fra i diversi gradi di scuola,
che resta in molti casi una chimera. Può sembrare paradossale ma è
così.
Si può a ragione considerare che nella scuola l’integrazione degli
alunni con handicap è realizzata a
metà, in
maniera molto parziale, imperfetta, decisamente problematica. Se
questa è la realtà effettuale, che senso ha allora perdere tempo con
inutili esercizi nominalistici? Lasciamo perdere i nomi e, piuttosto,
occupiamoci seriamente delle cose.