Sperimentazione del 2° ciclo/2.

Vincono i falchi, però...

Tuttoscuola, 31 gennaio 2006

 

Non era prevedibile che Letizia Moratti decidesse di concludere di fatto la sua esperienza ministeriale con uno strappo politico-istituzionale, nei confronti delle Regioni, così violento come quello che si concretizza, in pratica, con l’adozione unilaterale, con lo strumento del decreto ministeriale, di un piano nazionale a sostegno dell’attuazione della riforma del secondo ciclo (campus compresi) già a partire dal 1° settembre 2006. Decisione avvenuta, ricordiamolo, a iscrizioni chiuse. Quasi una beffa, per esempio, per un genitore che avesse appena iscritto il figlio a un istituto professionale industria e agricoltura (Ipsia) e scoprisse che in un’altra scuola del quartiere verrà sperimentato un liceo tecnologico.

Al momento dell’approvazione del Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, che fissava la decorrenza della riforma dal 1° settembre 2007, era sembrato che Letizia Moratti intendesse in tal modo far decantare le tensioni accumulatesi nei rapporti tra il MIUR e le Regioni, allungare i tempi della trattativa interistituzionale, e sottrarre l’argomento della riforma del secondo ciclo alle infuocate polemiche preelettorali. Alla fine, però, la decisione è stata diversa, come aveva apertamente auspicato la sottosegretaria Valentina Aprea, fautrice dello scontro duro, tutto politico, con gli avversari della riforma, Regioni del centrosinistra comprese.

Ma più dell’Aprea, hanno potuto le scuole, a detta del ministro: "è stata talmente forte la sollecitazione arrivata da parte delle singole scuole e di parecchie Province - ha dichiarato - che era impossibile fermare il processo. Abbiamo soltanto assecondato le richieste che ci venivano fatte".

E’ da notare, tuttavia, che nel testo ministeriale non mancano una serie di cautele: il ripetuto richiamo al Regolamento dell’autonomia (DPR 275/99), il doppio vincolo del consenso dei genitori e dell’adesione del Collegio dei docenti al progetto, la possibilità di adattare le innovazioni (anche parziali, dice il decreto) alle concrete situazioni e condizioni di fattibilità locali, la ricerca di intese tra gli Uffici scolastici regionali e le Regioni. Insomma, una serie di accortezze, quasi di ammortizzatori, con l’apparente intento di facilitare una gestione morbida delle innovazioni, e la possibilità di rivedere le decisioni. Insomma, di accompagnare la scuola al di là delle colonne d’Ercole delle prossime elezioni politiche.