P a v o n e R i s o r s e

 

Educazione alla convivenza civile:

si possono certificare le competenze?

di Girio Marabini, da Pavone Risorse del 31/12/2005

 

In passato ho avuto modo di esprimere le mie opinioni relativamente al Portfolio delle competenze individuali. Ero e resto convinto che esso può essere un valido strumento a supporto della crescita complessiva dei bambini e dei ragazzi , se ben usato e se , gli insegnanti saranno messi in grado anche dal punto di vista contrattuale di poterlo utilizzare in modo utile e produttivo. Il modello presentato dal Ministero contiene però delle indicazioni prescrittive, riguardo soprattutto le competenze che andranno certificate, che lasciano poco spazio alla autonomia della scuola e alla libertà di insegnamento degli insegnanti, e che segnano un percorso obbligato e limitano di fatto la "personalizzazione " del percorso educativo. Non è questo comunque il tema di cui mi preme parlare.


L’argomento che voglio portare all’attenzione è soprattutto quello relativo alla certificazione delle competenze nella convivenza civile. Osservo anzitutto che la "convivenza civile" non è affidata ad un singolo docente ma è argomento che investe la responsabilità dell’intera equipe pedagogica. Ritengo importante e condivisibile questa impostazione in quanto essenzialmente si tratta di una educazione ai valori. Eppure da più parti sono state avanzate delle perplessità in ordine alla questione se sia possibile o meno "educare ai valori". A quali valori? La risposta può essere relativamente semplice: a quelli mediamente condivisi dai componenti la nostra società e che sono ben evidenziati dalla Costituzione.

Carlo Nanni osservava, in modo avanzato, che "più che educare ai valori si tratterà di educare alla valorizzazione, cioè a cogliere esperienzialmente ed intellettualmente, il proprio rapportarsi con gli altri, nel mondo, nella storia, nelle strutture sociali, cogliendone gli aspetti di significatività personale e comunitaria, provando a partecipare ad un loro essere di più sensato e concreto. Ciò permetterà inoltre di comprendere meglio il limite, la storicità, la relatività di ogni acquisizione, impedendo fissazioni integralistiche o intolleranze verso chi la pensa o agisce diversamente. Sarà probabilmente più facile acquisire atteggiamenti di povertà, di comprensione, di dialogo, di ricerca comune, sperimentando in concreto l’impegno e l’invocazione, l’offerta ed il dono, la collaborazione e l’esigenza di aiuto…"

(in L’educazione tra crisi e ricerca di senso,LAS Roma, pag.221)


E fin qui potremmo esserci. Trovo,tuttavia, assolutamente non condivisibile arrivare fino a chiedere di certificare la competenza degli alunni, al termine della scuola primaria o secondaria di primo grado, relativamente alla "Convivenza civile". (vedi modello della certificazione delle competenze al termine della scuola primaria)
 

Come è possibile certificare infatti il livello di competenza morale e valoriale raggiunto dal bambino. Sarebbe come dividere i bambini tra "buoni" e "cattivi". Dovremo forse certificare il grado di adesione morale o di convergenza etica dell’alunno?


Potremo, certamente, apprezzare il comportamento di ogni persona nei confronti delle attività, ma non potremo certificare quanto quella persona abbia aderito profondamente, liberamente, coscientemente ai valori della convivenza civile. Non ci si chiede , tra l’altro, di apprezzare se l’obbiettivo di una crescita complessiva personale e sociale sia stato raggiunto oppure se ancora è necessario lavorare in quella direzione, ma di certificare il livello di competenza raggiunto dall’alunno: elementare(?), maturo, o, addirittura, esperto.

In che senso possiamo considerare un bambino o un preadolescente "esperto" nella responsabilità personale? O nel rispetto degli altri e della diversità? Ecc…


Scrivevo un po’ di tempo fa che è una constatazione oggettiva e se vogliamo , è un fatto naturale, che il bambino ed il preadolescente aspirino a diventare soggetto del proprio destino liberandosi da ogni situazione di dipendenza, che è individuata spesso nel rapporto con i genitori e con gli insegnanti.

Tale aspirazione in alcuni diviene è vero patologica, nel senso che porta alla ribellione di fronte ad ogni tipo di autorità ed imposizione: è questo il caso degli alunni problematici.

Rispondere a tale aspirazione con atteggiamenti autoritari e repressivi, o con una certificazione di competenza, serve a poco anzi rischia di radicalizzare i rapporti con gravi conseguenze.

A questa degenerazione dell’aspirazione alla libertà va invece contrapposta una autorità che stimoli la persona a diventare soggetto della propria formazione valorizzando ogni pur piccola positività, una autorità che riconosca le responsabilità di ciascuno, promuova il processo di acquisizione dei compiti che non possono essere di altri ma propri.

Non basta correggere l’errore occorre una promuovere una profonda adesione morale del bambino e del preadolescente.

Dovendo, al contrario, certificare la competenza, dovremo intervenire in una dimensione etica che può essere certamente apprezzata, ma non può essere certificata, quasi dovessimo rilasciare un certificato di buona condotta.


Mi rendo conto che questo argomento richiederebbe un approfondimento del quale sicuramente non sono capace.

E’ più una sensazione la mia, e tale rimane.

Il buon senso come al solito ci aiuterà nel lavoro di cui, come al solito, solo noi saremo responsabili.

Di fronte a questa società, complessa difficile e per un certo verso "inumana", occorre infatti che ognuno si "riprenda", prenda in mano, cioè, la propria vita, qualunque età abbia, dal più piccolo al più grande, essendo concreti , vivendo la quotidianità come una risorsa. Sono convinto che solo vivendo appassionatamente una "quotidianità" attenta al futuro, infatti, che potremo costruire una società migliore, che riusciremo ad accorgerci di chi ci è vicino, di chi soffre ed è in difficoltà, di chi ha bisogno di noi, assumendo un comportamento morigerato di accoglienza e di coraggio.

Questa società, definita anche società dell’immagine, offre modelli errati, ad essa noi educatori dobbiamo essere in grado di contrapporre positivi modelli di vita.