Il rispetto delle regole.

di Gaspare Barbiellini Amidei, Il Corriere della Sera dell'8/2/2006

 

Autogestioni, occupazioni, picchetti e dall'altra parte una manciata di sette in condotta. E poi proteste e brontolii. La scuola superiore a Milano stenta a trovare serenità e continuità, anche se i mesi passano e si avvicinano quelli nei quali ciascuno dovrà tirare su le reti di ciò che ha ascoltato e ha appreso. Si annunciano giorni di agitazioni. Sembra una interminabile partita di scacchi nella quale, come in una famosa novella di Borges, una parte dei contendenti finisce quasi per dimenticare la posta in gioco. Eppure qui la posta non può non essere per tutti una scuola migliore.
Si può anche evitare di entrare nel merito della materia del contendere, cioè la riforma contestata da una parte degli studenti e dei professori. Ma resta una constatazione: il mondo studentesco dovrebbe nelle sue varie articolazioni darsi un minimo di regole per ciò che riguarda tempi e opportunità delle proteste, come e secondo quali numeri vengono prese decisioni che coinvolgono tutti.

Ogni forma di autoregolazione darebbe per suo conto una forza incisiva alle tesi che si vogliono sostenere e toglierebbe spazio alla dannosa conflittualità fra coetanei. Questo appare evidente a chiunque osservi dal di fuori il sistema dell'istruzione. Episodi recenti hanno talvolta visto proprio a Milano messa in campo una non accettabile metodologia della contestazione. C'è qualcosa di ingiusto nel metabolismo forzato di un servizio pubblico garantito dalla Costituzione, quando una parte salta le procedure democratiche e taglia fuori coloro che perdono le lezioni senza aver avuto lo spazio per discutere e decidere un sì o un no al blocco. Serrare le porte senza domandare neppure un parere a chi vuole entrare alla fine non giova a nessuno.

Non sarebbe male trovassero una pausa, ragazzi e docenti di diverse impostazioni, per ragionare sul metodo, pur rimanendo divisi sulla sostanza. Non si vede perché la scuola nel suo insieme dovrebbe prendersi carico negativo dell'incattivirsi dello stile della lunga campagna pre-elettorale. Forse parlare di moratoria nelle occupazioni potrebbe sembrare forzante, ma certo è che un bisogno pressante di regole nel dibattito pubblico e nelle esagerazioni che talvolta lo accompagnano non riguarda soltanto l'alluvione televisiva. Anche lo studio, come il mondo mediatico, non dovrebbe avere padroni dei cancelli.