Andrea Ranieri (DS): ''Non prenderemo a pallonate la legge Moratti''. Intervista ad Andrea Ranieri, candidato senatore ds con passato nella Cgil ligure, responsabile scuola e cultura per la Quercia. di Raffaele Niri da la Repubblica del 24/2/2006
articolo Da esperto sindacalista apre le trattative e immediatamente le chiude. Non parliamo del caso Forcieri e della rivolta dei Ds spezzini e non parliamo di suoi eventuali ruoli da sottosegretario. «Pensiamo a vincere le elezioni, pensiamo a spiegare a tutti le nostre ragioni. Che ci sono e sono forti».
E della lite con Cofferati? E della guerra alla Moratti? E del rapporto con il padre Paolino, per 27 anni sindaco di Sarzana che adesso, per i suoi 93 anni, ha deciso di regalarsi il rinnovo della patente? E del rapporto con i Ds, questa carriera miracolosa a fianco di Fassino, lui che non è mai stato nel Pci? «Parliamo di tutto» risponde - accendendosi l´ennesimo mezzo «Antico Toscano» - Andrea Ranieri, 62 anni, storico leader della Cgil ligure, da due anni e mezzo responsabile nazionale del «sapere» dei Ds, dove si è occupato di tutto, dagli asili nido ai rapporti con i Premi Nobel. Ranieri è candidato ufficiale dei Ds liguri al Senato della Repubblica. La prima intervista è a Repubblica.
Partiamo dal fondo. Questa brutta legge, voluta da Berlusconi, toglie tutto il gusto alle elezioni: mancano più di sei settimane e lei è già Senatore. «Nel partito, in fondo, ci sono da pochissimo. Nel partito comunista io non c´ero, quando il Pdup si sciolse, andando metà nel Pci e metà in Democrazia Proletaria, io scelsi di lavorare, senza tessera, nel sindacato di base. Mi occupavo di scuola».
Non mi dirà che nel sindacato si faceva carriera senza avere in tasca la tessera del Pci? «Normalmente no. Ma io avevo punti di riferimento forti, Vittorio Foa e Bruno Trentin. E, con Bruno Trentin segretario della Cgil, venne la stagione dell´autonomia del sindacato. Più autonomo di me, che avrei aderito al Pds di Occhetto con tutta calma, proprio non ce n´erano».
Già allora, Ranieri, parlava di «priorità del sapere». «Mi ricordo la mia relazione al congresso dell´89, nel capannone di Campi pieno di lavoratori ma svuotato di macchine. Dicevo che «il sapere è la nuova industria di base del futuro». Sostenevo che come la siderurgia fino a quel momento era servita a fare automobili, frigoriferi, lavatrici, ora era il caso di puntare sulla conoscenza. Oggi vado un po´ più in là. Cerco di indagare dall´interno i mutamenti già in atto nelle scuole e nelle università dell´autonomia, soprattutto là dove si è voluto e saputo costruire un rapporto con il territorio».
Parliamo di scuola, allora. Butterete la riforma Moratti dalla finestra? «Non è stato facile - con gli altri partiti dell´Unione partivamo da divaricazioni forti - ma abbiamo trovato un punto comune. E il punto è: noi che cosa vogliamo? Non mi piaceva «abroghiamo la Moratti, punto». Mi piace molto di più pensarmi riformista. Io sono per l´obbligo della scuola fino a sedici anni e, per farlo, basta una legge di tre articoli. Le parti della Moratti che contrastano con questo principio vanno abrogate».
Rifondazione sostiene che la riforma Moratti fa schifo. «Ma certo che è ignobile. è ignobile riportare tutto al mercato, è familismo amorale pensare che la famiglia è padrona dei figli e la scuola è un´appendice. Così si riproducono le differenze sociali così come sono. Ma non basta rifare tutto, abrogare la Moratti, prenderla a pallonate. Priorità assoluta alla scuola dell´infanzia e agli asili nido. Toglieremo, costruendo».
Sembra uno slogan sindacale. A proposito cosa è successo, allora, con Cofferati? «Chiariamolo, una volta per tutte. Con Sergio ci fu un rapporto ottimo, strettissimo, quando nel ‘96 e poi nel ‘98 ci furono gli accordi a tre governo-Confindustria-sindacato che mettevano al centro proprio le mie competenze: formazione, scuola, sapere. Quando Cofferati buttò in politica, al congresso Ds, la giusta scelta di portare in piazza quattro milioni di persone contro Berlusconi, dissi che non ero d´accordo».
«Disse» e basta? «No, la divergenza fu netta. Io scrissi che lui non era il nuovo, era solo il più nuovo del vecchio e Sergio non la prese bene. Dopo un po´ di tempo Fassino mi chiamò al partito, il resto è cosa pubblica»
Lei ha radici profonde. Pesano? «Mio papà era comandante partigiano, commissario politico della Brigata Muccino, nome di battaglia Andrea. E´ stato sindaco di Sarzana 27 anni, oggi a 93 anni lavora ancora al circolo Anpi a far tessere ai ragazzini. Appena posso torno a casa a Sarzana, e così fa mio figlio Paolo. Lì sono le radici e lì si ritrovano tutte le generazioni di Ranieri. Chiaro, no?». |