Sugli investimenti, Italia ultima tra i 25 paesi dell'Unione.

Risorse in declino.

Taglio del 25% per l'autonomia

da ItaliaOggi del 4/4/2006

 

Le spese per l'istruzione e per la ricerca in declino. Nel 2004, dopo un taglio del 5,3%, l'Italia è scivolata all'ultimo posto tra i 25 paesi della Ue per investimenti nella ricerca. Quanto agli interventi in materia di istruzione, il rapporto Ocse 2005 rivela come l'Italia sia ben al di sotto della media europea: 4,9% del pil a fronte di una media del 6%. I tagli, secondo un'analisi della Cgil scuola, hanno colpito soprattutto le scuole statali. I fondi per il funzionamento didattico e amministrativo sono passati dai 331.440 milioni di euro del 2001 ai 185.587 del 2005: un colpo di forbice pari al 44%. Meno macroscopica, ma pur sempre notevole, la diminuzione di fondi per l'autonomia scolastica: nel medesimo quadriennio sono calati del 25%, da 258.885 milioni a 196.900.

In compenso, a partire dal 2002, hanno ricevuto un finanziamento pubblico anche i Pof delle scuole private. La scarsità di fondi colpisce severamente la stessa riforma scolastica voluta dal ministro Moratti. Il piano programmatico approvato nel 2003 prevedeva uno stanziamento di 8.320 milioni nell'arco di un quinquennio a partire dal 2004. Nei primi tre anni, tuttavia, di quel fondo sono stati erogati solo 531 milioni, meno del 7% del totale complessivo previsto. E la situazione non migliora se dalla scuola si passa all'università. Gli stanziamenti per il Ffo (Fondo di finanziamento ordinario), che copre oltre il 98% delle spese per le università, hanno seguito un andamento ondivago, ma sempre nettamente inferiore alle esigenze del mondo accademico. I finanziamenti (una volta applicati i deflettori del pil) sono passati dai 6.003 milioni del 2002 ai 5.581 del 2003 per poi risalire a 6.021 nel 2004, a 6.801 l'anno successivo e quindi ridiscendere, nel 2006, a 6.739. Nello stesso arco di tempo, i finanziamenti per le università private sono costantemente cresciuti: si è passati infatti dai 108 milioni del 2002 ai 133 del 2006. Tra le principali conseguenze dei tagli va senz'altro registrata l'impennata del precariato. A partire dall'anno scolastico 2000-2001 la crescita della popolazione studentesca è stata costante, in particolare per quanto riguarda la secondaria superiore, mentre si è corrispettivamente ridotto il numero dei docenti e del personale Ata. Nel 2006 il 15% dei docenti è formato da personale precario. La percentuale è rimasta invariata rispetto all'anno precedente nonostante l'immissione in ruolo di 35 mila precari, essendosi registrati nello stesso periodo oltre 20 mila pensionamenti. Nel personale Ata le assunzioni non hanno invece nemmeno pareggiato i pensionamenti, e la percentuale di precari sfiora oggi il 30%.

I dati in questione sono tutti ribaltati dal ministro Moratti: gli investimenti rapportarti al pil sono in crescita, ha più volte ribadito, così come sono in crescita anche le assunzioni, che hanno portato a casa, con il governo Berlusconi, il pacchetto più sostanzioso degli ultimi dieci anni.