Ripartire dalla cultura della "riconciliazione". di Girio Marabini da Pavone Risorse del 17/4/2006
In questi giorni sono rimasto in silenzio, attonito e perplesso, di fronte alla campagna elettorale, ai suoi toni e ai suoi risultati. Le elezioni ci hanno consegnato un Paese profondamente diviso: appaiono due Italie con due “filosofie” opposte. Certamente le avvisaglie non erano mancate dal ’92 in poi. La diversità, l’opposizione, la frantumazione sono venute in onore in questa nostra società, al posto del rispetto dell’altro e della condivisione dei problemi. L’altro è oggi il nemico da disprezzare, da vincere ed eliminare. Si è votato più “contro “ che non pensando ai reali problemi di questa nostra Italia.
Con questa logica,
tuttavia, il Paese non va da nessuna parte. Si vivrà nei prossimi anni
con il rancore e la voglia di rivincita: lo scenario che si apre è
drammatico e pieno di incognite. Neppure al vincitore. Occorre invece, a mio modesto avviso, qualcosa di più e di diverso: ritengo che tutti dobbiamo lavorare per ricostruire le basi della nostra convivenza civile. La democrazia politica presuppone, infatti, una comunità morale tra coloro che la compongono: devono cioè esistere valori universalmente accettati nei cui limiti soltanto può svolgersi la dialettica tra i partiti.
Se vengono a mancare
questi valori comuni ed universali, o se essi sono contrapposti senza
alcun punto d’incontro, la democrazia non è possibile. La convenzione
democratica è, infatti, fondata sull’accordo, sulla disponibilità di
tutti ad accettare precisi valori di fondo nel rispetto della
personalità umana e nel rispetto della libertà. Questo maggioritario o anche questo proporzionale/maggioritario, ha creato al contrario, un vero e proprio bipolarismo delle coscienze. Nell’uno e nell’altro schieramento vi è la presunzione di possedere la verità: sciocchi (quando va bene!) sono coloro che votano per la parte avversa o contro i propri interessi. La radicalizzazione delle posizioni ci consegna ad una logica di parte che ha quindi solo un valore relativo e impedisce le necessarie convergenze etiche. La scuola vive tale opposizione e frantumazione. Eppure la scuola, per sua natura, non può essere né di destra né di sinistra: la scuola è cultura e come tale è sintesi di posizioni, è costruzione comune. In questa situazione preoccupa la condizione dei giovani, in gran parte assenti dalle vicende politiche e scarsamente motivati alla partecipazione e all’impegno. Come è possibile recuperarli alla partecipazione democratica? Come potremo lavorare per una concreta educazione alla convivenza civile, che è educazione ai valori ed al rispetto assoluto degli altri? Manca sicuramente l’esempio, fondamentale per una educazione intenzionale. Un nuovo governo preannuncia, in queste condizioni, una nuova riforma della scuola… ancora una volta di parte. Consentitemi di aprire una piccola parentesi scherzosa. Molti degli insegnanti della mia scuola apparivano in “religiosa” attesa del 9-10 aprile: speravano e sperano che il nuovo Governo possa fare carta straccia del portfolio e del tutor . Dopo 10 anni di sudate carte (e convegni, e seminari, e gruppi di lavoro ecc…) su due riforme e con animo profondamente deluso, non ho potuto fare a meno di ricordare loro e anche a me stesso l’ammonimento che deriva dai versi del Manzoni
“Dagli atri muscosi,
dai Fori cadenti, dai boschi, dall’arse fucine stridenti, dai solchi
bagnati di servo sudor, un volgo disperso repente si desta, intende
l’orecchio, solleva la testa, percosso da novo crescente rumor (…) .
Cosa possiamo aspettarci: potremo alzare la testa e sperare d’essere i protagonisti della scuola e delle sue politiche ? O saremo per l’ennesima volta delusi … e costretti ad abbassare la testa? Come è possibile che “i politici” non si accorgano dello scarto che c’è stato tra le politiche (riforme di parte che si sono alternate in questi ultimi 10 anni) ed il loro concreto realizzarsi, tra principi ed obiettivi dichiarati e realtà effettivamente esistente? E’ invece assolutamente necessario che le riforme che investono la vita dei cittadini, siano il risultato di un lavoro comune e condiviso.
E allora,anche per il
bene della scuola, che è centrale per lo sviluppo della società,
occorre lavorare perché si affermi una cultura della riconciliazione. I due contendenti facciano un passo indietro. Si formi un governo che possa contribuire a riscrivere le regole con la più ampia partecipazione e condivisione (sarebbe auspicabile una nuova assemblea costituente). Poi si torni a votare.
“Riconciliazione
vuol dire vivere insieme senza rotture, senza odi (…) si tratta di
superare la contrapposizione di amico e di nemico (…) Qualcuno ha
detto che questa contrapposizione è l’essenza stessa della politica
che ha così nella guerra la sua continuazione ideale e necessaria. Al
posto della coesistenza pacifica sta la guerra di tutti contro tutti,
la natura lupesca dell’uomo che sbrana quel che può. Riconciliazione
è, invece, uno stare tutti insieme, aver sconfitto l’egoismo e fare
degli altri gli interlocutori essenziali” E’ il saper rinunciare ai propri egoismi di parte a favore del “non ancora” di quello cioè che insieme possiamo costruire pur nel rispetto delle nostre e delle altrui idee, per il bene comune. E’compito anche degli educatori e della scuola lavorare per una “cultura della riconciliazione”. Senza il recupero di questo valore non potremo sperare di modificare l’atteggiamento di profondo disinteresse dei giovani di fronte alla partecipazione democratica. Non è certo un caso che oggi il modello meno condiviso dagli studenti italiani sia quello dell’impegno (solidarietà, politica, interessi culturali...), come è stato evidenziato da una ricerca della Fondazione San Paolo (vedi Il sole 24ore Scuola n.7 del 7-20 aprile). Sono sempre abituato nell’azione quotidiana di educatore a considerare risorsa ogni possibilità ci venga offerta. La riforma Moratti pur con i suoi limiti, ci ha dato almeno due indicazioni fondamentali, che del resto erano contenuti con toni e suggestioni diverse anche nella riforma Berlinguer: la personalizzazione dell’insegnamento e l’educazione alla cittadinanza. Sono due principi sui quali , sicuramente, si può costruire un nuovo impegno ed una rinnovata partecipazione sociale. Intendiamo per educazione alla cittadinanza soprattutto l’ educazione ai valori. La finalità ultima è quella di promuovere una strutturata e consolidata capacità di decisioni responsabili di fronte ai compiti che la vita pone.
“E’ capacità di
presenza personale, consapevole e volontaria di “rispondere” di
rendere conto a sé e agli altri”
E’ formare come si diceva un tempo l’uomo ed il cittadino. Così intesa la riconciliazione non è rassegnazione ma è possibilità di costruzione di una società migliore che sappia superare la logica della disgregazione. E’ fondamentale che la politica ritrovi il coraggio e abbandoni i propri egoismi per il bene di tutti.
Per intanto noi
cominciamo a far sentire la nostra voce nella quotidianità: il
quotidiano non è solo
“il luogo della
routine (…)
ma
può rappresentare “la piattaforma inderogabile dell’intero vivere
personale e sociale; di supporto obbligato per ogni cammino in avanti;
di disponibilità (…) per coraggiosi processi emancipativi alternativi,
nella comune opera
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