Dal secondo ciclo all’Università/1:

perseverare è diabolico.

da Tuttoscuola dell'11/4/2006

 

La Confindustria insiste. Ormai il disegno del suo ufficio studi è chiaro. I suoi dirigenti lo stanno riproponendo in tutte le province italiane, con la risonanza della maggior parte dei giornali e con l’adesione di molta parte della classe dirigente sindacale, politica e buroministeriale.

Nella scuola secondaria bisogna costruire un circuito formativo, quello liceale, dove devono confluire gli attuali licei e istituti tecnici. Grosso modo l’80% di ogni generazione giovanile. Accanto a questo circuito che si pretende di qualità, un canale residuale per i "falliti" del primo, quello dell’istruzione e formazione professionale.
Lo stesso schema è giocato ora da Confindustria, ma a proporzioni invertite, per l’università.

A vederla criticamente, infatti, propone di creare un’università di massa e dequalificata per l’80% della popolazione giovanile, quella che rilascia titoli di studio ornamentali e che si possono acquisire anche a distanza, magari con generose complicità nel riconoscimento dei crediti (vedi la recente convenzione tra Viminale e università San Pio V che ha suscitato le ire di Gian Antonio Stella sul "Corriere della sera" del 22 marzo). Concentrare invece le risorse (dottorati, internazionalizzazione, qualità della ricerca, ecc.) sul 20% di università di eccellenza.

Tradotto in numeri, significa che 15 università italiane su 78 dovranno appartenere al circuito d’eccellenza, le altre 63 saranno e dovranno essere, se andrà bene, le attuali scuole medie del futuro, che rilasceranno lauree a cui il mondo del lavoro non concederà alcun credito. Prolungare l’istruzione e la formazione per tutti, insomma, ma badando bene, apparentemente, a svalutare i titoli di studio e a ribadire che, nel nostro paese, non si può infrangere la regola per cui a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto.