Idee chiare sugli standard! Un compito per il nuovo ministro. di Maurizio Tiriticco da Scuolidea del 28 aprile 2006
Sul recente numero 8 di “Scuola Secondaria” Giuseppe Bertagna interviene con un lungo e documentato saggio sulla questione degli Obiettivi Specifici di Apprendimento, sostenendo che questi devono assolutamente costituire i Livelli Essenziali delle Prestazioni che le istituzioni scolastiche devono garantire sull’intero territorio nazionale e che nulla devono avere a che fare con le prestazioni che si richiedono agli alunni. Ed in questo senso – come è noto – si esprimono le attuatali Indicazioni nazionali. A tale tesi si oppongono vivamente sia la ricerca educativa più accreditata sia la gran parte degli operatori scolastici. Le ragioni sono semplici. Non è possibile avviare un percorso di istruzione o di formazione se non si hanno chiari gli obiettivi che si propongono allo studente e che questo deve raggiungere. La scuola si è comportata sempre così. La mia nipotina ieri aveva a che fare con le “sottrazioni con il riporto” e insieme a lei si cimentano con le prime regole dell’aritmetica non solo i suoi compagni di classe ma anche i milioni di coetanei di tutte le scuole del mondo! I bambini tutti devono comunque giungere al fatto che 42 meno 29 fa 13! E c’è anche la riprova che tutte le calcolatrici tascabili del mondo danno lo stesso risultato! Si tratta di una semplicissima prestazione che la Scuola deve garantire, ma che l’Alunno deve anche acquisire! Ma il banalissimo esempio può trovare maggior conforto in ambiti di saperi e competenze ben più elevate. Un architetto, un giudice, un cuoco, un parrucchiere, per essere tali, non possono non avere conseguito competenze che, per ciascun profilo professionale, non siano tali e non altre! Nessun parrucchiere potrà usare il coltello per tagliare i capelli, o un architetto un dialogo di Platone per costruire una villa! Ciascuno di essi deve – dico “deve” – possedere determinate competenze, ciascuno nel suo campo! E gli ordini professionali sono abbastanza attenti e rigorosi in tale materia. In altre parole, è giusto o non è giusto accertare che alla fine di un processo di apprendimento uno studente, piccolo o grande che sia, od un adulto in formazione continua, abbiano realizzato obiettivi chiaramente preventivati? Ma lo stesso Bertagna, quando esamina un suo studente, non pretende che certe conoscenze – o abilità, o capacità, o competenze – siano state acquisite? Ed ancora! Quando si parla di competenze in determinati campi del sapere e del saper fare, non si pretende forse che siano leggibili, comprese e condivise da altri in situazioni diverse? I sei livelli delle competenze, di cui al portfolio europeo delle lingue, non costituiscono forse un riferimento preciso per chi insegna lingua, ed anche per chi la apprende? Tant’ vero che due dei suddetti livelli hanno trovato posto in quella parte della scheda di valutazione (vedi la cm 84/05) relativa a quella certificazione delle competenze (operazione opportunamente annullata, per la sua approssimazione ed inconsistenza, con la nota del Miur del 9 febbraio u. s)! Pensare, quindi, a degli standard condivisi non significa affatto essere statalisti, come pensa Bertagna, essere per uno Stato occhiuto ed invadente che usurpa tutti i campi dell’istruzione e pretende di dettar legge alle scuole e agli insegnanti! Perché sono le stesse scuole e gli stessi insegnanti che, di fronte alla proposta della scheda faidaté, hanno dimostrato tutto il loro disorientamento e disappunto! La strada per la realizzazione di quanto indicato dal Titolo V non significa affatto polverizzare curricoli e processi di apprendimento! Anzi! Proprio perché l’autonomia delle istituzioni scolastiche è un processo irreversibile, è necessario che queste abbiano punti di riferimento certi. Che senso ha affermare che “devono essere i docenti, in quanto professionisti dell’istruzione a stabilire quale standard di apprendimento è doveroso attendersi da un allievo o da un gruppo di allievi per valutarli sufficienti o eccellenti”? Se parliamo di standard, ci poniamo su di un terreno comune e condiviso, e, se deve esser tale, che cosa vuol dire che è il docente stesso a stabilire gli standard del suo insegnamento? Quali sarebbero le conseguenze? Che ogni insegnante fissa i suoi standard, ad arbitrio e capriccio, perché in tal modo la sua libertà di insegnamento si riscatta definitivamente dallo Stato Padrone? Si tratta di una linea improvvida, che rischia di mandare a carte quarantotto l’intero Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione! Che senso ha affermare che “sono sempre la scuola e il docente, dunque, che fino a manifesta prova contraria, hanno la responsabilità professionale di identificare i livelli accettabili di apprendimento che devono essere raggiunti dai ragazzi”! Se così fosse, nessuno potrebbe più contestare ad un docente di scuola primaria che il livello accettabile è solo quello di saper fare le “sottrazioni senza riporto”. Ovviamente, si tratta di un caso limite, ma, se un livello di accettabilità non è condiviso da tutti gli altri operatori, quale valore può avere? E non tiriamo in campo il principio della personalizzazione, tanto caro alla new age morattiana! Io personalizzo sempre quando insegno, nel senso che sono il più possibile empatico e flessibile, che costruisco relazioni di aiuto tutte le volte che è necessario, che rispetto i mille ritmi, tempi e stili di apprendimento! Ma non defletto mai – non potrei farlo – dagli obiettivi che mi vengono proposti da un’autorità superiore a cui riconosco competenze in tale materia, le quali non possono assolutamente essere le mie! Perché le mie sono altre! Perché si insiste nel volere attribuire agli insegnanti ruoli che non sono loro! Unicuique suum! Lo dice la norma, quella stessa che Bertagna cita: che è legislazione esclusiva dello Stato dettare le norme generali sull’istruzione, alle quali debbo uniformare la mia azione di professionista, e i livelli essenziali delle prestazioni che io e l’istituzione in cui opero dobbiamo garantire. La mia libertà, la mia autonomia si esercita all’interno di questi parametri, che non è una violenza nei miei confronti, ma una guida per una mia corretta progettazione curricolare, da realizzare ovviamente in team! E’ la Costituzione del 2001 che introduce i LEP! Non ne parlava la Costituzione del ’47 perché l’autonomia delle Regioni ancora non era nata – a prescindere da quelle a statuto speciale, che è altro discorso – ed era lo Stato stesso che si faceva garante delle prestazioni da esso stesso erogate sull’intero territorio nazionale. Ed alle scuole prescriveva quei Programmi ministeriali, che erano sì vincolanti in tutto e per tutto. Ma non bisogna assolutamente confondere i LEP, che io scuola, io docente debbo osservare e garantire, con le competenze (le si chiami anche prestazioni) che alla fine del mio intervento il mio studente deve avere raggiunto! Che sono altra cosa! E poi, come la mettiamo con la certificazione delle competenze acquisite alla fine del percorso? Ogni docente certifica in base a che cosa? Se un team di docenti non ha un riferimento certo di ciò che deve conoscere e fare un portiere d’albergo o un avvocato o un operatore termico o un ingegnere elettronico, quali competenze certificherà? Non c’è alternativa! O meglio, per il Bertagna pensiero, l’alternativa c’è! Todos caballeros! Ed una scelta di questo tipo non comporta l’abbassamento prossimo venturo dei livelli di uscita dei nostri studenti? Forse non è un caso che il Miur abbia risparmiato alle scuole l’inutile fatica di certificare competenze che neanche lo stesso Miur è in grado di definire! Per non dire della valutazione di sistema attribuita di norma all’Invalsi! In mancanza di riferimenti certi, quali prove deve costruire l’Invalsi? Le recenti esperienze in tal senso, com’è noto, non sono affatto lusinghiere! Le scuole e gli insegnanti le hanno subìte e dall’esperienza hanno tratto solo un avvertimento: se le prove sono queste – si son detti – dobbiamo solo adeguarci! Ma con quale convinzione? Altro che libertà! Invece, non sarebbe serio e produttivo seguire un’altra strada, che è quella di definire con chiarezza quegli Obiettivi generali del processo formativo e quegli Obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni, così come recita l’articolo 8 del dpr 275/99 e che la legge 53 ha voluto completamente stravolgere? E che certamente non sono quelle migliaia di OSA che hanno mandato in tilt insegnati e studenti! Ma chi ha detto agli esperti morattiani che bisognava rovesciare come un calzino la nostra scuola? Questa necessita solo di certezze nelle sue finalità, di sostegni concreti al suo operare, in termini di risorse, che sono anche di carattere metodologico! Nel quinquennio morattiano la nostra scuola ha dovuto solo subire i colpi di maglio di una “riforma” inventata da un gruppuscolo di anonimi, da un corpo estraneo alla sua tradizione e alla sua storia. Ritornare alle sue reali necessità e a quelle dei suoi insegnanti è il primo dovere del nuovo ministro. La questione delle competenze finali e delle modalità della loro certificazione non è compito di poco conto. Implica la questione degli standard, della valutazione degli apprendimenti e della valutazione di sistema! E questa volta non pensi d operare da solo! |