I sindacati discutono le ipotesi del ministro Damiano. I coefficienti non si toccano.

Pensioni: più flessibilità e niente «scalone».

di Felicia Masocco, da l'Unità del 18/8/2006

 

VOLONTARI CERCANSI per andare in pensione il più tardi possibile. Potrebbe essere questa la sintesi del dibattito sulla previdenza che tiene banco anche nel vuoto pneumatico del Ferragosto. È il ministro del Lavoro Cesare Damiano a ribadire che l’attuale sistema va ritoccato, che lo «scalone» introdotto dal predecessore Roberto Maroni va «corretto» perché è iniquo alzare di botto di tre anni l’età per andare in pensione. Per Damiano occorre tornare allo spirito della riforma Dini e alla sua «flessibilità». Il ministro ha sempre ipotizzato un meccanismo che fissi dei plafond di età e di contributi versati, oltrepassati i quali più si resta al lavoro più si viene premiati. Al contrario se si va via prima, si prende un assegno più basso. La scelta sta al lavoratore. E su questo perno la discussione potrebbe incontrare un’apertura dei sindacati.

I requisiti minimi previsti dalla riforma precedente, cioè 57 anni e 35 di contributi, potrebbero perciò essere rivisti ala rialzo «in rapporto all’innalzamento di vita delle persone», spiega il ministro. E aggiunge: «Tutto verrà concertato, deciso con le parti sociali». In vista della Finanziaria: la previdenza è infatti uno dei quattro capitoli su cui il governo ha deciso di intervenire.

Chiamati in causa, i sindacati ribadiscono le note posizioni. E condizioni: a cominciare proprio dal principio di volontarietà. «Non sono allarmata da ciò che dice il ministro Damiano - afferma Morena Piccinini, segretaria confederale della Cgil - se prelude a un ritorno alla legge Dini, discutiamone. L’eliminazione dello “scalone” sarebbe un fatto positivo. Ma se le sue parole significano innalzamento dell’età pensionabile, allora non siamo affatto d’accordo». Contraria alla modifica dei coefficienti di trasformazione, la Cgil è quindi disponibile a discutere di flessibilità e di libertà di scelta sull’uscita dal lavoro «ma solo all’interno di un tavolo vero e ampio di confronto su tutto il sistema previdenziale. I sindacati - aggiunge - hanno molto da chiedere in termini di diritti». Anche il numero due della Cisl Pierpaolo Baretta pone tra i paletti «la libertà di scelta del lavoratore», oltre alla «non modifica dei coefficienti di trasformazione e l’avvio della previdenza complementare». A queste condizioni anche «discutere dell’aumento dell’età pensionabile «è possibile». Un ammonimento al governo a «non far cassa» con il sistema previdenziale viene da Domenico Proietti della segreteria confederale Uil. Si dichiara però «favorevole» a discutere di innalzamento dell’età anche se «solo su base volontaria». Ancora dalla Cgil è il responsabile economico Beniamino Lapadula a concludere: «Dobbiamo fare i conti con il lascito negativo della riforma Maroni, ampiamente “venduta” a livello europeo per i risparmi sul fronte della finanza pubblica. E credo che la via migliore sia quella di garantire nuovamente una flessibilità di pensionamento, con incentivi per chi resta più a lungo».