Fioroni: scuola, la riforma è solo all’inizio.

Fiero di essere considerato eversivo. Senza cattolici, niente partito democratico».

Claudia Terracina, da Il Messaggero del 7/8/2006

 

ROMA Racconta che la forzista Valentina Aprea lo accusa di essere «un ministro eversivo». Ma Giuseppe Fioroni della Margherita che dal 18 maggio è titolare della Pubblica Istruzione lo prende come un complimento. E assicura che non aspira a intitolarsi la riforma della scuola e dell’esame di maturità appena varata. «Preferisco lavorare con il cacciavite per risistemare le cose che non vanno», confida, con un ”understatement” da vero ex dc di rito andreottiano. Stile che applica anche alle cose della politica. Per questo, in sintonia con il presidente del Senato, Franco Marini, avverte che «il confronto con l’opposizione deve avvenire in Parlamento sul nostro programma» e, d’accordo con il presidente del suo partito, Francesco Rutelli, ricorda che «per costruire il Partito democratico è fondamentale l’apporto della cultura e dell’identità dei cattolici democratici».

Ministro Fioroni, può vantarsi di aver smantellato a tempo di record la riforma Moratti. Ha già incassato i complimenti della sinistra radicale dell’Unione?

«Nella maggioranza siamo tutti molto soddisfatti perchè con questa riforma l’esame di maturità torna ad essere una faccenda seria e perchè la scuola diventa più equa e aperta a tutti, coltivando anche l’eccellenza, che incentiveremo con sostegni economici alla formazione e ai percorsi universitari».


Formule burocratesi, ministro, cosa ci guadagnano gli studenti?

«Sono fiero di aver ristabilito la continuità tra medie superiori e università. Cosa che permette ai ragazzi di avere docenti universitari che nell’ultimo anno li aiuteranno ad orientarsi e a conquistarsi l’accesso anche in quelle facoltà a numero chiuso. E, nel solco del riconoscimento dei diritti degli extracomunitari, abbiamo consentito agli studenti che hanno frequentato in patria corsi non equipollenti con la nostra istruzione superiore, di sostenere da privatisti l’esame per l’accesso al quinto anno. Ma siamo solo all’inizio. Abbiamo ancora in cantiere l’innalzamento dell’obbligo scolastico con un percorso unitaria, non unico, e la revisione del secondo ciclo di istruzione, dopo un’adeguata campagna di ascolto».


Nel frattempo pensa al Partito democratico, presidiando le posizioni dei Popolari. La sua cena con i 77 fa ancora discutere. E forse ha preoccupato un po’ Rutelli.

«Rutelli è il leader indiscusso del nostro partito che ha costruito e fatto crescere e che, insieme alla Margherita, guiderà il Partito democratico. Sono stufo di spiegare che la cena è stata un appuntamento tra vecchi amici, che, come tutta la Margherita, sono ben decisi a costruire il Partito democratico con l’apporto fondamentale della storia e delle tradizioni del cattolicesimo democratico».


Una precisazione che non farà piacere ai Ds.

«E perchè mai? Credo che portare nella nuova creazione il lievito del cattolicesimo democratico sia interesse di tutti coloro che sono impegnati nella costruzione, non solo dei Popolari, o della Margherita».


Intanto, però continuare a discutere se entrare o no nel Pse.

«Non c’è discussione. Con il Pse si può collaborare, insieme possiamo abitare una nuova casa in Europa, non possiamo ripararci sotto un vecchio tetto. Anche in questo la penso come Rutelli».


A proposito, Rutelli continua a predicare all’Unione più attenzione verso i cattolici, ammettendo un certo deficit di comunicazione. Secondo lei, esiste questa incomunicabilità?

«Esiste se qualcuno insiste a prendere dalla Chiesa solo quello che interessa, come fosse un franchising. I cattolici vanno bene quando parlano di pace e solidarietà sociale, meno bene quando si battono per certi principi etici. Ecco, secondo me, va chiarito che certe fughe in avanti, come la revisione del Concordato, per fare un esempio, non hanno e non avranno nulla a che fare con il nostro programma».


Esiste dunque una questione cattolica?

«No. E sarebbe un errore grave sollevarla perchè scontenteremmo i cattolici che ci hanno scelto e dimostreremmo di non aver capito il messaggio che ci hanno consegnato gli elettori dei due poli che, rivelandosi attori di una democrazia matura, hanno bocciato il referendum sulla legge 40».


Fatto sta che tocca sempre a voi cattolici difendere certi valori.

«E qui sta lo sbaglio. Bisogna invece che tutta la maggioranza si faccia carico dei valori che hanno a che fare con la vita e con la morte e che appartengono al comune sentire del Paese».


In compenso, state per intrecciare una bella collaborazione con i cattolici dell’opposizione. Anche lei, ministro Fioroni, sta lavorando per le larghe intese?

«Io lavoro per la chiarezza e non credo nelle formule precostituite. Penso invece che nel nostro sistema bipolare e maggioritario basta riportare al centro dell’azione politica il Parlamento, dove può avvenire un confronto trasparente tra forze responsabili, che spero abbiano finalmente la forza di passare dalle parole ai fatti».


Allude alla proposta del leader dell’Udc Casini per una nuova fase della politica, peraltro bocciata da Berlusconi?

«Credo che sia una buona proposta purchè sia chiaro che non c’è bisogno di inventare nulla di nuovo. Basta ripristinare la corretta dialettica parlamentare tra governo e opposizione, cosa ignota a Berlusconi e ai suoi, che praticano ancora il muro contro muro. Si può avere un confronto serrato, che però può arrivare a una convergenza nell’interesse del Paese su temi come le riforme, la scuola, la sanità, la politica internazionale».


E la Finanziaria. Ma la condizione dell’Udc e anche di An per dialogare è che il governo non ricorra più alla fiducia.

«Non ricorreremo alla fiducia quando non sarà strettamente necessario. E soprattutto non faremo come il governo Berlusconi che metteva la fiducia, pur avendo cento parlamentari più dell’opposizione. Non ci teniamo a trasformare il Parlamento nell’ufficio fotocopia del governo. Ma ci aspettiamo anche che chi ha criticato certe decisioni del governo Berlusconi, ma non ha trovato il coraggio di passare dalle parole ai fatti, ora si faccia carico insieme a noi dei drammatici problemi del Paese. Il motto da seguire è l’«I care» di don Milani».


Un motto che si potrebbe applicare anche all’Unione, visti i distinguo che si sono prodotti sul rifinanziamento della missione in Afghanistan.

«Senz’altro. Anzi, raccomanderei ad alcuni nostri alleati di liberarsi dall’ossessione di ritenere un inciucio ogni forma di confronto e di dialogo. Per quanto ci riguarda, possono stare tranquilli, non sono in corso campagne acquisti, nè operazioni trasformiste che mettono in discussione il bipolarismo. Ma l’appello alla responsabilità nell’interesse del Paese che rivolgiamo all’opposizione vale soprattutto per noi. Dobbiamo dimostrare di essere compatti e autosufficienti per poter lanciare la sfida del dialogo costruttivo alle forze più sensibili del centrodestra».