Dopo la Moratti/2.
Il nodo dell’obbligo.

da Tuttoscuola del 15/8/2006

 

La questione nodale, l’autentica cartina di tornasole che misurerà l’idoneità del "cacciavite" di Fioroni a risolvere i problemi politici all’interno della maggioranza di governo è la soluzione del problema delle modalità di innalzamento dell’obbligo di istruzione.

Il ministro ha dichiarato in Parlamento di non volere una "sua" riforma, di voler intervenire sul primo ciclo con "modifiche mirate" (era chiaro che intendeva parlare di modifiche del decreto legislativo n. 59/2004, non della legge n. 53/2003), e che "per innalzare il livello di tutti l’istruzione obbligatoria sarà prolungata di due anni".

In Italia ben due leggi hanno innalzato l’obbligo non di due anni, ma addirittura di quattro, fino ai 18 anni: la legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 68 ("Obbligo di frequenza di attività formative"), poi abrogata dal decreto legislativo 226 sul secondo ciclo, e la legge 28 marzo 2003, n. 53, art. 2 ("Sistema educativo di istruzione e formazione", punto c), la prima varata dal centro-sinistra, la seconda dal centro-destra. Ora, se è vero che la seconda legge ha abrogato la prima, è anche vero che non mancano punti di convergenza tra le due leggi, a partire dal fatto che entrambi non parlano di obbligo "scolastico", ma usano altre dizioni ("obbligo di attività formative" la prima, "diritto-dovere di istruzione e formazione" la seconda).

Non sembra impossibile – sempre che non vi ostino insormontabili diktat di tipo politico in seno alla maggioranza – portare a sintesi le due leggi attraverso una riformulazione dei decreti legislativi n. 76/2005 (diritto-dovere per 12 anni) e n. 226/2005 (riforma del secondo ciclo), resa possibile dalla proroga dei termini per la loro modifica. La cosa avrebbe il notevole vantaggio di evitare al governo i pericolosi passaggi parlamentari (rifinanziamento delle missioni all’estero docet) che un eventuale provvedimento legislativo comporterebbe, e anche quello di mostrare all’attuale opposizione che non c’è una pregiudiziale ostilità, da parte della maggioranza, a porsi su una linea di dialogo su uno degli aspetti fondamentali della riforma.