La crisi del sistema va affrontata rafforzando l'autonomia delle istituzioni.

Professione da liberalizzare.

Gli insegnanti non possono essere impiegati

di Fabrizio Foschi*, da Italia Oggi del 22/8/2006

 

Troppo numerosi, sottopagati, poco stimati dalla società, troppo anziani rispetto alle esigenze delle nuove generazioni. È questo il giudizio più diffuso sugli insegnanti del nostro paese, un esercito di oltre 800 mila persone, tra assunti in ruolo e precari, a cui è affidato il compito di trasmettere ai giovani le basi fondamentali del sapere.

L'impietoso cliché non rende certo giustizia delle mille sfaccettature di una professione difficile e impegnativa. E tuttavia la figura dell'insegnante mostra segni di crisi, connessi in parte a motivi estrinseci, derivanti dalla debolezza del suo ruolo nella società, in parte a motivi soggettivi, legati alla demotivazione individuale.

Lo sviluppo dei luoghi informali dell'apprendimento (i mezzi di comunicazione, in primo luogo internet, l'uso parossistico dei telefoni cellulari, una certa industria del divertimento) ha sottratto alla scuola il primato sulla formazione. Ma proprio in questo contesto di apparente descolarizzazione della società, alla scuola si chiede di contare di più.

Si chiede di trattenere i giovani dalla dispersione alla quale certe fasce meno protette sembrano condannate, si chiede di aiutare a trasformare le conoscenze informali in robuste competenze personali. I docenti della scuola italiana sono pari ai nuovi compiti che vengono disegnati?

 

Chi sono i prof

Tramontata, non da troppo tempo in verità, la figura del docente di gentiliana memoria, rappresentato dalla pedagogia neoidealistica come il centro dell'universo scolastico, l'insegnante italiano è fotografato dalle indagini più recenti dell'Ocse come poco capace di adattarsi ai cambiamenti e quindi poco propenso ad aggiornarsi dopo la laurea e con i concorsi ormai sempre più lontani nel tempo. Preoccupano anche le scarse possibilità di ricambio: tra il 2006 e il 2016 andranno in pensione 400 mila docenti italiani e ci sarà bisogno di tutta una nuova leva, che dovrebbe tuttavia essere preparata: invece, sono molto pochi gli iscritti alle scuole di formazione per insegnanti. Ai dati delle indagini internazionali, si affianca una sfiducia sempre più diffusa tra le famiglie e il mondo delle imprese riguardo alla capacità dei docenti italiani di fronte alle sfide dei tempi.

Paradossalmente, nell'emergenza educativa che tutti riconoscono, l'insegnante appare come il perno più in crisi del sistema. Volendo fornire qualche tratto sociologico, si tratta del tipo di docente, di sesso prevalentemente femminile e assunto durante la grande espansione della scolarizzazione degli anni Sessanta e Settanta, che è ancora oggi il più diffuso nella scuola italiana ai suoi vari livelli. Serpeggia da anni tra i docenti una sorta di demoralizzazione che raggiunge le sue punte più acute nel cosiddetto burnout, un vero disagio mentale sconosciuto per lo più all'opinione pubblica, che rende il docente chiuso in se stesso, autoreferenziale, nemico di qualsiasi mutamento delle consuete dinamiche del lavoro scolastico. Ma nella scuola italiana c'è del fuoco che cova sotto la cenere. Ci sono insegnanti, in giro per l'Italia, che rischiano quotidianamente la propria libertà e la propria professionalità nel confronto con la libertà dei ragazzi, mettono in piedi corsi di formazione per sé e per i colleghi, instaurano rapporti con le istituzioni spesso addormentate, creano centri di recupero scolastico e di aiuto allo studio.

È su queste innovazioni già in atto nel tessuto più profondo della realtà scolastica che occorre porre le basi per un rilancio della professione docente. La ripresa della funzione docente non può avvenire solo attraverso meccanismi che si prefiggono di premiare il merito lasciando in ombra la persona del docente e il senso più profondo della sua professione. Le analisi più acute e le terapie più aggiornate finiscono per essere totalmente inefficaci, se non si riparte dalla domanda sulla natura più profonda dell'insegnamento. La scuola nasce, infatti, per trasmettere una tradizione, una cultura, e ovviamente per consentire a chi apprende di vivere in un ambiente adatto a tale scopo. In questo senso il fulcro della trasmissione è la persona dell'insegnante. È necessario abbandonare la logica statalistica imperante. La fuoriuscita dalla logica statalistica, per cui il ruolo del docente consiste nell'assolvimento di un compito sociale, comporta uno stato giuridico nuovo che ridefinisca funzione, reclutamento, formazione iniziale e carriera dell'insegnante italiano.

A proposito di quest'ultimo punto, si dovrà riconoscere l'inadeguatezza dell'unicità della funzione docente e prevedere un'articolazione della professione in relazione ai compiti che si assolvono nella scuola, soggetta a progressione economica nonché a valutazione dell'impegno professionale. Come si può ricavare da questi brevi spunti, se si realizzasse la liberalizzazione della professione docente, la decisione circa identità e ruolo sarebbe ricollocata nelle mani dell'insegnante stesso.

 

IL RUOLO DELL'Autonomia

Esiste finalmente in Italia, dopo 150 anni, la possibilità di pensare ogni singola scuola, statale e non, come una realtà dotata di soggettività giuridicamente configurata, chiamata ad agire secondo modelli organizzativi (almeno in parte) decisi dalle persone che in essa operano, per rendere effettiva la funzione che si chiama istruzione pubblica, dove pubblica non vuol dire statale, ma della comunità. Il quadro delineato deve essere attuato fino in fondo e gli insegnanti devono essere resi partecipi di questo processo dell'autonomia; devono essere aiutati a guardare al loro compito professionale, inserendo l'atto di insegnamento compiuto con i propri allievi nel contesto della scuola. Lo stato italiano ha sancito che la libertà di insegnamento è il perno della comunicazione dei contenuti disciplinari che avviene nell'istituzione scolastica (´l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento'). Un appello, quello alla libertà di insegnamento, che, nato come una concessione all'autonomia individuale del docente rispetto a un tessuto culturale prevalentemente cattolico, modificatosi il quadro dei riferimenti normativi, può essere ora uno spunto attorno al quale lavorare e ripartire. La libertà di insegnamento del docente dovrà misurarsi con l'esigenza degli alunni di apprendere in modo significativo, di essere valutati e anche certificati per le competenze che hanno espresso e non solo per le nozioni che hanno assimilato. La personalizzazione degli apprendimenti richiede un docente che sia partecipe dei processi di riforma della scuola italiana, messo nella condizione di disegnare insieme ai colleghi i percorsi didattici e formativi più utili per i propri ragazzi (pur nel rispetto di standard di apprendimento generali), sempre meno schiacciato dal ritorno a forme di pedagogia di stato, sotto le cui vesti si possono nascondere gli appelli al ritorno alla realtà dopo l'inevitabile fermento dovuto alla introduzione di qualche elemento di riforma degli ordinamenti.

 


* presidente Diesse,
Didattica e innovazione scolastica