Noi prof, così stressati: pochi soldi e troppo lavoro.
Tra gli statali sono quelli che si ammalano di
più: di Anna Maria Sersale da Il Messaggero del 12/9/2005
ROMA - Suona la campanella e 800mila docenti tornano in cattedra. Tra tutti i dipendenti pubblici sono i più stressati e i più frustrati. Troppi problemi si sono abbattuti sulle loro teste negli ultimi anni. A cominciare dalla «mancata realizzazione delle aspettative professionali» che li avevano spinti a scegliere l’insegnamento. I «rapporti difficili» con gli studenti, le «classi numerose» e «il bullismo che dilaga», «i genitori incapaci di educare che scaricano responsabilità di ogni tipo, salvo contestarli alla prima occasione», sono bocconi difficili da ingoiare. Non solo. Anche il ministero scarica nuove responsabilità senza una adeguata contropartita in busta paga. Salari “magri” e tanto lavoro. Anche «tanta burocrazia, che schiaccia le iniziative personali» e costringe ad un lavoro di équipe spesso mal sopportato. Inoltre «perdita di status», «disconoscimento del ruolo sociale» che fino a qualche anno fa erano l’unica vera gratificazione. «Oggi molti faticano a trovare motivazioni e spesso sono vittime di sindromi depressive», sostengono i sindacati. Gli insegnanti a scuola trovano gli stessi problemi che avevano lasciato. Sono 720.680 quelli di ruolo e 96.650 i supplenti. «Per tutti la scuola è sinonimo di precarietà e confusione», dicono ancora i sindacati. Dunque, gli insegnanti tornano in cattedra pronti a lavorare con impegno, ma si trascinandosi dietro un pesante fardello. «La perdita di ruolo e il senso di isolamento - dice Marta Serangeli, docente di italiano e latino in un liceo romano - sono i mali peggiori. Non vogliamo piangerci addosso, però siamo stati dimenticati, come se non dipendesse da noi il futuro del Paese e la formazione delle nuove generazioni». «Il continuo susseguirsi di cambiamenti e riforme calate dall’alto - afferma Massimo Di Menna, Uil scuola - li ha logorati. Troppa burocrazia e adempimenti inutili in una scuola povera di risorse, che non dà prospettive di carriera». «Gli si rimprovera di non incarnare più l’immagine dell’insegnante missionario - osserva Alessandro Ameli, coordinatore nazionale della Gilda - come se ci trovassimo nell’Italia post-unitaria, come se la visione ottocentesca della “vocazione” dovesse prevalere su tutto, anche sulla professionalità calpestata o sullo stipendio da paria». Intanto si parla di burn-out degli insegnanti. Dopo lo studio condotto da Vittorio Lodolo D’Oria, medico, rappresentante delle Casse Inpdap, e da un’équipe di medici legali di una Asl di Milano e dell’Università, anche lo Iard, una Fondazione che svolge indagini psicosociali nel mondo della didattica, ha messo in relazione frustrazioni e patologie. Ebbene, nel primo caso è venuto fuori che la frequenza di disturbi della sfera psicologica negli insegnanti era superiore a quella degli impiegati. I docenti che chiedono il riconoscimento della non idoneità per motivi psichici rispetto ad altre categorie sono il 49,2%, due volte più degli impiegati, due volte e mezzo più del personale sanitario e tre volte più degli operai. Lo Iard è giunto a risultati analoghi. Così la Cgil, che fece un’indagine per conto proprio. Anche per le richieste di pensionamento anticipato gli insegnanti sono i primi in classifica. Preoccupato, il ministero dell’Istruzione nel luglio del 2003 incaricò alcuni consiglieri del ministro e il dottor D’Oria di redigere un piano per prevenire il burn-out e dare nuove linee di indirizzo per «attrarre, formare e trattenere i migliori insegnanti». «Finora non è cambiato nulla - sottolinea ancora Ameli, il coordinatore della Gilda - La condizione degli insegnanti non è presa in seria considerazione. Basti pensare a quest’ultimo rinnovo contrattuale, fatto senza investimenti, ma solo calcolando il recupero dell’inflazione». Anche Piero Bernocchi, leader dei Cobas, attacca la politica scolastica: «Dalle elementari alle superiori sono demotivati da anni di incuria e da stipendi da fame». |