Il nuovo numero di "micromega" . L'incredibile gran partito dei nemici di Darwin.
La lotta contro l'evoluzionismo abolito e poi
reintrodotto nei programmi della scuola italiana non è un episodio da
sottovalutare ma fa parte di una strategia ben precisa di Telmo Pievani, da la Repubblica del 6/9/2005
Origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana. È un bel titolo, sintetico, efficace. Racchiude in sé un enorme programma di ricerca, cominciato nel 1871 con L´origine dell´uomo di Charles Darwin e culminato oggi in una vasta gamma di scoperte circa le modalità attraverso le quali la nostra specie è emersa nel mondo naturale e ha cominciato a esibire le caratteristiche cognitive e comportamentali tipiche che conosciamo oggi. È un campo di studi affascinante, che ci sta raccontando la storia di come si è evoluta la diversità umana, di come i nostri antenati sapiens hanno colonizzato il pianeta adattandosi alle nicchie più diverse, di quando e dove è nata l´intelligenza simbolica, di quali meccanismi evolutivi naturali hanno permesso la comparsa della nostra specie e hanno fatto sì che rimanesse l´unica rappresentante della famiglia ominide. Per la prima volta archeologia, antropologia fisica, linguistica e genetica molecolare collaborano, anche grazie all´opera pionieristica di scienziati italiani come Luigi Luca Cavalli Sforza presso la Stanford University. Bene, tutto questo, e quel titolo così denso di significati, una volta comparivano nei programmi delle scuole medie italiane. Dal gennaio del 2004 non più. E qui comincia una meschina storia di provincialismo culturale. La censura dell´evoluzione dalle indicazioni programmatiche suscitò ovviamente l´indignazione dell´intera comunità scientifica italiana, per una volta unanime di fronte a una sfida tanto sconcertante. Il ministro Letizia Moratti nominò quindi un «gruppo di esperti» di alto profilo, diretto dal premio Nobel Rita Levi Montalcini, per dirimere la questione. Il compito di tale commissione era pressoché surreale: è opportuno o meno insegnare la teoria dell´evoluzione nelle scuole italiane? Immaginate cosa diremmo se esistesse una commissione per stabilire se è il caso o meno di insegnare la teoria della relatività, la meccanica quantistica o la deriva dei continenti. Il verdetto, raggiunto dopo mesi di rinvii, fu di conseguenza esilarante: ebbene sì, risposero gli esperti, è importante insegnare l´evoluzione ai ragazzi e, già che ci siamo, anche la scienza in generale (magari consultando prima gli scienziati quando si predispongono i programmi). Dunque, Darwin va subito reintrodotto nelle scuole di ogni ordine e grado, anzi già dalla primaria dove prima non compariva: un vero e proprio boomerang per i censori dell´evoluzionismo. I tempi e i modi di questa reintegrazione (dato che i programmi sono già stati stampati e distribuiti su tutto il territorio nazionale) rimangono misteriosi, così come è misterioso il testo ufficiale del documento prodotto dal gruppo di esperti e consegnato al ministro il 23 febbraio 2005. Uno dei commissari, interrogato sulle cause che avevano portato alla bizzarra rimozione, alzò le spalle e sospirò, diplomaticamente: «Sarà stata una svista o un´incomprensione fra i consiglieri del ministro». Tuttavia, se leggiamo le dichiarazioni dei sostenitori della censura, notiamo che non si è affatto trattato di una svista, ma di una scelta meditata che rientra in una politica culturale e pedagogica ben delineabile, la quale oggi, ad alcuni mesi di distanza da quell´episodio, assume i contorni di una vera e propria offensiva culturale. Nell´aprile del 2004 il professor Giuseppe Bertagna, pedagogista cattolico dell´Università di Bergamo e consulente ministeriale per la revisione dei programmi, rispondendo alle aspre critiche di Cavalli Sforza e di altri scienziati sostenne la necessità di vietare l´evoluzione ai minori di 14 anni per le seguenti ragioni: 1) perché prima di Newton viene Galileo, cioè prima di insegnare le «formalizzazioni teoriche» bisogna insegnare le «sensate esperienze»; 2) perché bisogna distinguere gli «evoluzionismi» dalle «teorie» dell´evoluzione, i primi appartengono alla sfera dell´ideologico e del filosofico, le seconde al piano scientifico. Sia concesso, a qualche mese di distanza, notare nuovamente la totale infondatezza epistemologica di simili affermazioni. Distinguere un primo livello di insegnamento dei «dati empiricamente controllabili» (uniti a favole, miti e altri racconti) da un secondo livello (possibilmente non dell´obbligo) nel quale i ragazzi imparino a comprendere ipotesi, spiegazioni e teorie, non è solo discutibile pedagogicamente, ma è del tutto insensato da un punto di vista scientifico ed epistemologico. L´evoluzione naturale è prima di tutto un fatto, empiricamente corroborato da milioni di prove, dirette e indirette, accumulate in discipline diversissime per più di un secolo in tutti i laboratori del mondo. Ma questa messe di evidenze empiriche non ha senso se non alla luce di quella sola teoria in grado, per il momento, di dare loro un senso coerente: la teoria dell´evoluzione di Darwin, opportunamente integrata, corretta e aggiornata. Separare l´insegnamento dei «nudi fatti» dalla teoria che li spiega è assurdo, è un banale trucco per nascondere il tentativo di dilazionare l´evoluzione agli ultimi cicli. Gli insegnanti delle scuole elementari e medie del nostro paese sanno raccontare benissimo ai bambini sia le sensate esperienze naturalistiche sia le spiegazioni eleganti che Darwin e gli evoluzionisti hanno offerto di quei dati. E i bambini ricambiano, quando non vengono raccontate loro solo bugie paternalistiche. La seconda motivazione risulta ancor più interessante per la sua raffinata struttura logica. Dunque, vediamo: esistono teorie scientifiche e interpretazioni filosofiche di quelle teorie. Esiste la teoria dell´evoluzione ed esistono filosofie evoluzionistiche come il selezionismo di Spencer, il progressionismo cosmico di Teilhard de Chardin e così via. Molto bene. Uno si aspetterebbe a questo punto un monito agli insegnanti affinché mettano in guardia gli studenti sulla differenza fra questi due livelli. Invece no: la soluzione «logica» è che alla luce di questa distinzione è meglio togliere direttamente la teoria (scientifica) dell´evoluzione dalle scuole. Straordinario: con questo principio qualsiasi teoria scientifica soggetta a libere e legittime, per quanto fantasiose o ripugnanti, interpretazioni filosofiche non andrebbe più insegnata. Togliamo a questo punto anche la relatività, visto che qualche filosofo l´ha interpretata come una manifestazione della dittatura del relativismo. Che si tratti di una strategia culturale orchestrata è però evidente se leggiamo quanto scrive il filosofo Evandro Agazzi, dell´Università di Genova, su un giornale locale di orientamento cattolico integralista: «E´ scorretto e fuorviante parlare de «la teoria dell´evoluzione» come se ne esistesse una sola: ne esistono diverse.[.] L´unica maniera corretta di presentare la situazione è quella di prendere atto delle diversità e analizzare con cura e competenza le ragioni addotte dai difensori e dai critici delle diverse teorie, sottolineando il carattere tuttora altamente ipotetico e congetturale dei quadri esplicativi da esse offerti» (10-4-2005). E´ davvero sorprendente come in materia di evoluzione sia possibile leggere affermazioni di filosofi che sposano una rappresentazione della situazione sperimentale completamente aliena da ogni principio di realtà. Una «teoria dell´evoluzione» alternativa a quella darwiniana dovrebbe dar conto di tutti i fenomeni spiegati plausibilmente da Darwin attraverso la selezione naturale e aggiungerne di nuovi. Al momento non esiste alcunché di simile ed è «scorretto e fuorviante» affermarlo. La teoria dell´evoluzione (al singolare) neodarwiniana è oggi un programma di ricerca di grande potere esplicativo e predittivo, centrato su una molteplicità di meccanismi e processi - 1) mutazione e ricombinazione genica; 2) selezione naturale e sessuale; 3) deriva genetica; 4) migrazione - non tutti conosciuti da Darwin ma tutti finora compatibili con il nucleo esplicativo centrale della sua teoria. Non vi è nulla di «altamente ipotetico e congetturale» in questo quadro esplicativo, basterebbe far visita a un laboratorio di biologia molecolare o a un museo di storia naturale in qualsiasi parte del mondo. Il fatto storico straordinario, semmai, è esattamente l´opposto, e cioè che l´intuizione di Darwin abbia resistito così brillantemente all´accumulo di un´enorme quantità di dati empirici che lui nemmeno immaginava, a cominciare dai geni. Il trucco ovviamente è che, ancora una volta (siamo nel 2005), si vuole giungere alla conclusione che la teoria dell´evoluzione è solo un´ipotesi, come stava scritto nella Humani generis di Pio XII del 1950. Come per le strategie dei creazionisti americani, si tenta di strumentalizzare le controversie che animano il dibattito evoluzionistico rappresentandole come «diverse teorie dell´evoluzione» o come contraddizioni interne insanabili, per mostrare la presunta infondatezza teorica dell´impianto darwiniano. Un beffardo fraintendimento di cui soffrì molto, per esempio, il paleontologo Stephen J. Gould, la cui opera fu male interpretata come una forma di antidarwinismo. Quando morì nel 2002, all´età di sessantuno anni dopo aver dato contributi fondamentali alla teoria dell´evoluzione, il quotidiano L´Avvenire titolò il suo necrologio: «Il funerale del darwinismo». Ma gli studenti del primo anno di un qualsiasi corso di filosofia della scienza sanno che è sbagliato confondere le discussioni interne a una comunità di ricerca con la debolezza di una teoria. |