Decolla la riforma Moratti.

obtorto collo.

di Dedalus, da ScuolaOggi dell'8/9/2005

 

Milano. Come avevamo ampiamente previsto in quello che ormai sta diventando il nostro ruolo di Cassandra, nella scuola primaria la riforma Moratti comincia a trovare momenti di graduale e parziale attuazione non sull’onda del consenso (tutt’altro!) ma sulla spinta della manovra operata sugli organici. I tagli degli organici docenti che hanno coinvolto la maggior parte delle scuole elementari segnano la fine del modello del tempo pieno, ed anche del modulo nelle scuole ove era presente.

Tutte le scuole che hanno avuto assegnato uno o due insegnanti in meno rispetto a quelli richiesti sono state costrette infatti a rivedere i modelli organizzativi sinora in atto, che prevedevano la doppia titolarità sulle classi a tempo pieno (2x1) e tre docenti ogni due classi a modulo (3x2), secondo quanto prevedeva la legge 148/90.


Per soddisfare la richiesta di tempo scuola dei genitori (in prevalenza di 40 ore, mensa inclusa), dirigenti scolastici e collegi docenti hanno dovuto inventarsi nuovi modelli organizzativi, con un numero minore di risorse. In altre parole, si sono trovati nella condizione di dover garantire lo stesso tempo scuola agli alunni con uno o due insegnanti in meno. Questo comporta, com’era evidente, lo smantellamento delle ore di compresenza, l’impossibilità cioè di assicurare momenti di compresenza dei due docenti contitolari di ogni classe di tempo pieno, per riuscire a coprire l’intero orario delle 40 ore. Con il risultato di non disporre più delle condizioni necessarie per poter attuare gruppi-classe, attività per gruppi di alunni, di recupero e/o di laboratorio, classi aperte, ecc. Cade con ciò uno dei capisaldi del Tempo Pieno storico, uno dei suoi tratti più significativi e pregnanti.


Cosa sta succedendo nelle scuole? Si sta venendo a delineare una nuova organizzazione a metà strada tra il vecchio modello e quello ipotizzato dalla legge 53/2003. Nelle classi coinvolte dalla contrazione di organico generalmente vi è un insegnante fisso per ogni classe, più la presenza di altri insegnanti, per un monte ore variabile, necessaria a coprire l’intero tempo scuola delle 40 ore. Le 40 ore “modello Moratti”, appunto, o giù di lì. E’ chiaro infatti che in questo modo, anche se non si realizza ancora compiutamente il disegno della riforma (un insegnante prevalente o tutor, costellato da altri insegnanti “di laboratorio”), si scardina comunque la pari titolarità dei docenti. I docenti assegnati alla singola classe infatti non hanno lo stesso orario di presenza nella stessa. Uno è fisso, gli altri ruotano, con un orario di presenza “a geometria variabile”. Modello che alcune scuole avevano già dovuto adottare lo scorso anno in provincia di Milano e che ora si estende in maniera più diffusa, generalizzata.

Questo nuovo assetto organizzativo, che di fatto segna l’applicazione “forzata” di una parte della riforma, in genere viene attuato sulle classi prime, in alcuni casi invece sono state coinvolte i docenti di altre classi già avviate.


In questo modo si impone, di fatto, la necessità di modificare l’organizzazione scolastica, non tenendo in nessun conto le scelte pedagogico-educative e didattiche che le scuole autonome hanno elaborato nei Piani della loro offerta formativa in questi anni. Le soluzioni di tipo ingegneristico adottate, infatti, risolvono il problema della copertura oraria del tempo scuola degli alunni ma non certamente quello della qualità del servizio, poiché vengono a mancare momenti importanti di contemporaneità dei docenti.

Insomma, un effetto perverso prodotto dalla riforma. E’ bene che i genitori siano informati di tutto questo. Che la differenza tra le 40 ore del Tempo Pieno classico e le 40 ore attuali “modello Moratti”, ora non più semplicemente teorica ma in atto, emerga con tutta chiarezza. Un’operazione di verità e un’informazione diffusa sicuramente doverosa da parte dei dirigenti scolastici e dei collegi. Perché questo è il cavallo di Troia della Riforma.