La scuola al tempo dell’infanzia telefonica.

di Gaspare Barbiellini Amidei, da Il Corriere della Sera del 10/9/2005

 

Alla vigilia della riapertura delle aule molti genitori chiedono alle segreterie degli istituti informazioni su ciò che è consentito e su ciò che è vietato nel rapporto utente-cellulare dentro le mura della scuola. Nel Paese a più alta densità di telefonia mobile, una disputa semiseria attraversa le famiglie italiane: il telefonino fa parte o non fa parte dell'arredo scolastico? E' come lo zainetto dei libri e l'astuccio delle matite, non prescritti ma considerati indispensabili? E se è così, a che età si può mettere un cellulare in mano a un ragazzino? Le parole dei messaggini risultano l'esercizio di scrittura più praticato a partire dai dieci anni. Il passaggio dalle elementari alle medie è considerato da molti genitori lo snodo telematico, accettato per «non stare in pensiero». Una telefonata all'inizio delle lezioni e una alla fine sono considerate rassicuranti. Tanti ragazzini vanno e vengono da soli, con i grandi al lavoro. Concluso il ciclo scolastico novanta diciottenni su cento comunicano per scritto solo con gli sms, cinquanta su cento «flirtano» via sms, sessanta su cento, se si mettono a lavorare, scrivono messaggi telefonici per fissare o confermare gli impegni professionali. Fitta è a scuola la silenziosa e più o meno tollerata rete dei telefonini sotto il banco. Si va dalle elementari (raramente) alle medie, ai licei e all'università. E' stato calcolato che fra i 18 e i 24 anni ciascun giovane spedisce venti sms la settimana e ne riceve altrettanti.

Gli ultimi mesi sono segnati da un brusco abbassamento dell'età dell'utenza. Il progressivo slittamento verso un'infanzia telefonica è agevolato dai progressi tecnologici. Essi consentono ai genitori di dotare i figli piccoli di apparecchi a sovranità limitata. Ci sono in vendita cellulari collegabili unicamente con il telefono di casa. Altri sono privati del software necessario per creare messaggi, altri infine sono soltanto guinzagli. Gli adulti ansiosi di famiglia smanettano la tastiera e il bimbetto viene monitorato a distanza.

La riforma, che pure enfatizza il ruolo dell'informatica, come legge di sistema ignora cellulari e sms. Non li cita proprio. Delega in materia telematica tutti i poteri regolamentari agli istituti. Nella loro autonomia gli organi delle singole scuole affrontano il tema e decidono. Ci sono scuole più rigide e scuole più aperte. Decidono insomma professori e genitori, quegli stessi genitori che poi telefonano agli uffici del ministero per chiedere a che età possono dare il cellulare al figlio che va a scuola. Domandano qualcosa che invece rientra nelle competenze loro e dei loro rappresentanti. Soltanto per vietare l'uso di cellulari e computer agli esami interviene un regolamento del ministero: a ogni giugno di maturità arriva una circolare. Il boom della telefonia scolastica adolescenziale si lega anche alla difficoltà di tenere la cosiddetta condotta. Ci sono situazioni normali, con suonerie spente, e situazioni di assillante e rumorosa maleducazione. Sul piano del profitto non indulgerei al pessimismo luddistico di quanti vorrebbero una scuola senza macchinette, sottovetro e insonorizzata. Ho letto un delizioso saggio di un grande italianista. Tesseva l'elogio degli sms, ne apprezzava le abbreviazioni e ricordava che i messaggini carichi di «x» e di «k» hanno per antenati i primi testi onorati dagli studi letterari. C'è in ogni manuale: «Sao ko kelle terre, per kelli fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti». Così, fra «k» e abbreviature, nell'anno 960, fu annotata per scritto alla futura maniera degli sms la conclusione della lite tra il monastero di Montecassino e un uomo di Aquino. Nasceva la lingua italiana. Nulla da temere mille e 45 anni dopo.