Ci hanno tolto tutto,

perfino la possibilità di bocciare».

di A. Ser. da Il Messaggero del 12/9/2005

 

ROMA - Che cosa è successo? Perché siete demotivati e stressati? «Gli insegnanti non sono matti, sono stanchi. Anzi, non ce la fanno più. Sapesse quanto è frequente questa frase nelle riunioni di scuola! E se non ce la facciamo più qualcuno dovrebbe interrogarsi...». Parla Serafina Gnech, 54 anni, docente di lingue in un Istituto tecnico industriale di Treviso.

Non ce la fate, qual è il problema principale?

«Sono talmente numerosi i problemi che è difficile partire dal primo. Ma una cosa è certa, si è perduto il mandato che la società dava agli insegnanti, un tempo accompagnato da un rapporto di fiducia».

 

Che cosa intende?

«Chi sta in cattedra ha perduto il suo ruolo, è minacciato da tutti. Anche genitori e presidi non ci pensano due volte ad attaccare l’insegnante. E noi ci sentiamo isolati. La verità è che abbiamo tanti adempimenti burocratici, stipendi lontani dall’Europa, zero carriere e nessuna considerazione sociale».

 

In che modo vi difendete?

«Le nostre armi sono spuntate. Non abbiamo tanti modi per contrastare questa linea. Non abbiamo più i luoghi, gli strumenti e le condizioni per esercitare il nostro ruolo. Può sembrare assurdo ma è così».

 

Non sarà una visione troppo pessimistica?

«Niente affatto. Vogliamo parlare dei voti? Ebbene, quando anche le scuole arrivano a sostenere che l’insuccesso degli studenti è colpa degli insegnanti che non sanno insegnare siamo alla fine. Perchè sarà pure vero che qualcuno non sa fare il proprio mestiere, ma qui siamo di fronte ad una cosa diversa, ossia alla teoria che se bocciamo l’istituto perde iscritti o si fa una cattiva fama. Insomma, se uno sostiene che un alunno è asino perché non studia, rischia una sorta di processo. E’ un esempio, certo, ma rende l’idea di quanto l’insegnante abbia perso il proprio ruolo, a cominciare dalle prerogative del voto».

 

E gli stipendi?

«Non tocchiamo questo tasto dolente. I pochi soldi in busta paga sono il metro di giudizio, sono la prova di quanto poco il governo investa nella scuola e nei docenti che devono formare le giovani generazioni».