Inveire o lanciare slogan non servirà per la
tutela delle superiori:
bisogna fin d´ora applicare un progetto diverso
La riforma Moratti e la sfida dei docenti.
Maurizio Muraglia,
la Repubblica del
18 ottobre 2005
L´approvazione del decreto sulle scuole
superiori la riforma Moratti sembra essere arrivata al suo traguardo.
Il ministro saluta questo passaggio normativo con toni trionfalistici
e manda a dire a tutte le scuole che è iniziata finalmente un´epoca in
cui ogni studente potrà sviluppare i propri talenti. L´interrogativo è
il solito: come accoglieranno le scuole superiori il varo definitivo
della riforma? Come si mobiliteranno? Cosa si metteranno a fare?
Il protagonismo e la capacità reattiva della scuola secondaria
superiore saranno messi alla prova, a mio parere, proprio in questo e
nel prossimo anno scolastico. Si tratta di due anni nei quali, per
l´accordo intercorso tra Stato e Regioni il 15 settembre scorso, la
riforma non potrà essere ufficialmente avviata, neppure a livello
sperimentale.
Il ministro esorta invece tutte le scuole a sperimentare fin dal
settembre 2006, basandosi sull´assenza di una data precisa per l´avvio
delle sperimentazioni. Per dovere di cronaca, occorre ricordare che
tutte le regioni italiane, tranne quattro, hanno espresso parere
contrario sull´impianto del decreto. Tra le quattro regioni favorevoli
c´era anche la Sicilia.
Cosa faranno le scuole superiori, dunque, in questi due anni? Almeno
due auspici possono essere formulati. Il primo è che le scuole
superiori sempre meglio ricordino che il livello degli ordinamenti
scolastici non coincide esattamente col livello del fare scuola di
ogni giorno e che quest´ultimo livello, che gli addetti ai lavori
chiamano curricolo, ad esse e solo ad esse compete, come, almeno a
parole, riconoscono i documenti ministeriali. In parole povere, se è
vero che è il ministero a decidere quanto fare storia, quanto fare
matematica, quanto fare inglese, è la singola scuola a decidere come
fare storia, come fare matematica, come fare inglese. Non c´è
pedagogia di Stato che tenga di fronte alla libertà professionale dei
docenti, garantita dalla Costituzione.
Il secondo auspicio è che le scuole superiori non finiscano
involontariamente per dare ragione al nostro ministro facendo
proliferare una quantità incredibile di progetti e progettini che
rischiano di distogliere i ragazzi dall´acquisizione dei saperi
fondamentali di cittadinanza, quelli, per così dire, che si studiano
all´interno del gruppo classe e al mattino. Se alla scuola supermarket
dei progetti si reagisce potenziando la scuola della cittadinanza e
dei saperi forti, forse è possibile che nel primo biennio delle
superiori avvenga quel miracolo pedagogico che questo governo a un
certo punto ha ritenuto impossibile: quello di scoprire che a 14 anni,
anche se si hanno difficoltà di apprendimento, si può continuare la
scuola e non necessariamente essere avviati al lavoro. Non è detto
infatti che alla fine della scuola media si debba scegliere tra due
percorsi formativi, il sistema nazionale dei licei e quello regionale
dell´istruzione e formazione professionale. E´ invece possibile che si
continui, tutti insieme, figli di papà e figli di operai, nella stessa
scuola, nella stessa classe, nello stesso banco, con insegnanti che
fanno scuola a tutti questi soggetti senza quelle nostalgie classiste
che nessuno può giurare siano oggi assenti dai nostri licei.
Si tratta di una sfida che richiede grande compattezza all´interno
delle scuole e grande disponibilità da parte dei dirigenti, anch´essi
chiamati ad essere garanti del patto formativo tra l´istituzione
autonoma che dirigono e i cittadini che la frequentano, piuttosto che
meri funzionari del Miur.
Non è una sfida di cui può appropriarsi una fazione politica. E´ più
semplicemente l´idea trasversale che la scuola della repubblica è la
scuola per tutti, senza distinzioni. Sostenere questa idea non rende
"di sinistra". Rende cittadini italiani.
Se questi due anni serviranno a lanciare questo fondamentale
messaggio, cioè che questa scuola superiore così com´è è migliorabile
senza una riforma classista, allora sarà possibile neutralizzare,
nella pratica scolastica più che con gli slogans e le barricate, le
valenze più rovinose di questo decreto.
Se invece ci si limiterà ad assecondare supinamente l´evoluzione
ordinamentale oppure ad inveirvi contro senza dimostrare concretamente
che una scuola alternativa a quella pensata dal ministro Moratti è non
solo praticabile ma anche praticata, allora si correrà il rischio di
ritrovarsi con un governo favorevole - e pronto magari a spendere -
senza un progetto di scuola elaborato dal basso che lo induca a
spendere nella direzione giusta.