La scelta del tempo.

Alessandro Giorni,  CIP del 6/10/2005

 

Time is money, dicono gli anglosassoni.

Time is teaching, potremmo parafrasare, adattando alla realtà italica il detto che viene dal Tamigi.


Il tempo è l'elemento che discrimina e sostanzia la scuola.

Il monte ore di una materia fa una differenza fondamentale. Per chi? Per l'insegnante soltanto? Per i contenuti? Per le attività che si possono svolgere? Sicuramente per tutti questi aspetti, ma discrimina anche perchè gli alunni, e le famiglie, soppesano il valore aggiunto di un docente anche in base alla quantità di ore che insegnamento della sua materia.

Il monte ore fa la differenza, ed è ovvio ma non forse cosi tanto, su come si insegna. Una lingua straniera, ad esempio, se si esclude la condizione di full immersion che si verifica solo vivendo nel paese dove la si parla dal vivo, in un paese straniero si può imparare solo con un adeguato monte ore di lezione. Gli strumenti didattici, tecnologici, e quant'altro aiutano sicuramente a svilupparla, ma una lingua con due ore settimanali non si apprende come una con 4 o 5. Così anche per le altre materie.
Il tempo discrimina: un tempo opzionale, facoltativo, smembrato, venduto a pacchetti-offerta, non è un tempo scuola che renda ciascuno più uguale a sè stesso (con l'illusione riformistica della 53/03) perchè più invididualizzato, nè rende ognuno più libero, come forse credono alunni e qualche genitore. Un tempo scuola spezzettato, impacchettato in pillole laboratoriali, finisce per creare una conosceza-groviera, un sapere-carsico, fragile base per i ragazzi di domani, cono conoscenze sempre più friabili, e quindi sempre più deboli di fronte al proprio futuro, foss'anche solo professionale.

Il tempo sostanzia la scuola, e di conseguenza il futuro. Lo sanno tanto bene i gerarchi dell'industria, che hanno chiesto espressamente che alcune materie siano inserite solo come materie opzionali - e chi le vorrà più imparare?

Il tempo sostanzia la scuola, lo sa bene il comitato costituito da Letizia Moratti (di cui, ci risulta, facevano parte anche Katia Ricciarelli e il cardinale Ruini) che ha stabilito la pervicace permanenza dell'ora di religione nei curricoli nazionali, ops scusate ora si parla di indicazioni.

Il tempo è ciò che lega le mani dei docenti. Programmazioni, progettazioni, unità didattiche (ora "di apprendimento"), calendarizzazioni, riunioni, ricevimenti, tic-tac-tic-tac-tic-tac....

Come una bomba ad orologeria...

Il tempo corre, il diciassette ottobre si avvicina. Letizia lo sa, e per questo corre a far approvare la propria riforma, anzi scusate la riforma catto-industriale. Sa che la sua approvazione formale sarebbe un gran bel fiore all'occhiello per la sua candidatura a sindaco di Milano, e sarebbe una bella coccarda colorata all'occhiello del suo premier.
Peccato, che tutti questi dipendenti (perchè deputati, senatori, ministri... li paghiamo noi) si siano dimenticati il gioco che stanno giocando rischia di far male ai giovani che saranno uomini domani, e quindi di mettere in ginocchio il paese.