Abrogare la riforma? «Meglio di no».

Parla Andrea Ranieri, responsabile scuola Ds: più efficaci provvedimenti mirati.

 

Cinzia Gubbini, il Manifesto del 7/10/2005

 

E' il responsabile scuola dei Ds, è attaccato dalla sinistra radicale che lo accusa di far parte della «combriccola» di sinistra che non ha nessuna intenzione di abrogare la riforma Moratti, semmai l'Unione vincerà le prossime elezioni. In vista della definizione del programma politico del centrosinistra, Andrea Ranieri risponde ad alcune domande.


Insomma, ammesso che la sinistra vinca le elezioni, la farete fuori questa riforma?

Vorrei rovesciare il discorso: prima di tutto occorre che ci sia un accordo di tutta l'Unione sulle cose che si ritiene importante fare. Poi bisogna parlare degli strumenti legislativi più efficaci: una legge nazionale o una serie di provvedimenti mirati, uniti a un altro modo di governare la scuola in questo paese.


Lei quale opzione preferisce?

Io non sono affatto convinto che lo strumento di una legge, come fu anche la riforma Berlinguer-De Mauro, sia il migliore. Penso invece a una serie di interventi mirati, semplici e efficaci, capaci di scardinare alla base la logica della riforma voluta dalla Moratti. Sarebbe anche un modo per evitare di rimettere tutto in discussione: i punti di vista sono diversi, c'è persino una certa opposizione contro l'autonomia delle scuole, che io invece considero irrinunciabile. Detto questo, è chiaro che sarebbe necessario approntare una serie di leggi nazionali e, ad esempio, abrogare il decreto sulla scuola superiore se verrà approvato in parlamento.


Quale sarebbe il primo intervento?

Riproporre il biennio unitario dopo le scuole medie, il vero asse portante di quella che fu la riforma Berlinguer De Mauro. Una riforma, che con tutti i suoi limiti, cercava di rispondere a dei problemi che sono ancora sul tappeto, come la divaricazione sociale che rischia di diventare destino di vita. La scuola deve rimettere in moto meccanismi di mobilità sociale, e per farlo deve diventare comprensiva. Ricordo con piacere il motto della riforma Berlinguer «Non uno di meno», anche perché l'ho inventato io. Se ne dovessi coniare uno per la riforma Moratti direi «Si salvi chi può». Altro che continuità con la riforma Berlinguer...


Riproporrebbe anche il ciclo di base di sette anni?


No, non ci sono le condizioni.


Quali sarebbero gli ulteriori interventi «dall'alto»?


Pochi ma, badi bene, molto costosi: risolvere il problema del precariato, generalizzare la scuola dell'infanzia, promuovere un modello di comprensività.


A proposito, di precariato, le graduatorie sono di nuovo nel caos.


Stanno facendo un pasticcio dietro l'altro. Eppure ci sono le condizioni per eliminare alla radice il problema del precariato. Pensiamo che entro il 2010 andranno in pensione più della metà degli insegnanti italiani. I docenti mancheranno, ci sono quindi tutte le condizioni per pensare a un progetto non solo di stabilizzazione ma anche di valorizzazione professionale del personale della scuola. Non penso a una trasfromazione della condizione giuridica degli insegnanti, che devono rimanere impiegati del ministero, ma che le politiche degli organici le debbano fare in accordo con la scuola dell'autonomia le Regioni e gli Enti locali, come ha stabilito anche una sentenza della Corte costituzionale.


Parla di scuola inclusiva, ma è contrario all'innalzamento dell'obbligo fino a 18 anni.


Non sono contrario, è che ho una gran paura di interventi solo formali. Trovo sia più ambizioso dire: arriviamo all'85% dei diplomati entro il 2010.


Il ministro dell'istruzione ha annunciato che il decreto sul secondo ciclo si discute martedì.


Moratti è ostinata, vuole approvare a tutti costi un decreto zoppo, su cui le regioni hanno dato un giudizio fortemente negativo. Viene da pensare che questo governo voglia vendicarsi in extremis di tutte le parti della società italiana che con più vigore hanno resistito alla sua politica. Anche per questo è importante che scuole e università partecipino alla manifestazione di domenica, per dire no al governo e per segnalare alla stessa Unione che le politiche del sapere dovranno esser davvero una priorità praticata dal prossimo governo di centrosinistra.