Politica scolastica e magistratura.

Le scelte di politica scolastica sono sempre più in mano alla magistratura. Una recente sentenza emessa a L’Aquila lo conferma.

C. V. La Tecnica della Scuola del 28/10/2005

 

L’Ufficio scolastico regionale dell’Abruzzo è stato condannato a conferire, entro dieci giorni dalla sentenza, emessa il 18 ottobre 2005, la nomina di un insegnante di sostegno per 24 ore settimanali, in un rapporto 1/1, come richiesto in sede di stesura del Profilo dinamico funzionale dalla ASL e dalla scuola, ad un minore disabile, con “disturbo generalizzato dello sviluppo di tipo autistico atipico”. L’alunno fruiva di nove ore settimanali di sostegno. La famiglia aveva fatto ricorso al giudice invocando l’articolo 700 che stabilisce che “chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”.

Nessuno degli attori chiamati in causa si è presentato all’udienza, né l’Ufficio scolastico regionale, né il CSA, né l’istituto comprensivo ove l’alunno era iscritto. La sentenza è stata emessa quindi dichiarando contumace la pubblica amministrazione. Il giudice inoltre ha fissato l’avvio dell’udienza per la sentenza di merito entro un mese.
Il provvedimento di urgenza, emesso dal tribunale di L’Aquila, conferma la tendenza, registratasi lo scorso anno scolastico, durante il quale ben 65 tribunali hanno dato ragione ai familiari di alunni disabili.

Il quadro che si conferma è evidente.

Da una parte il Ministero dell’Istruzione che fa finta di non vedere che esistono dei diritti immediatamente esigibili che bisogna soddisfare, prevedendo le necessarie risorse finanziarie, dall’altra i giudici che, aditi dalle parti lese, si pronunciano in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, confermando i diritti e condannando la pubblica amministrazione alle spese di giudizio.

In quest’ultima circostanza la pubblica amministrazione non si è neppure presentata all’udienza per resistere al giudizio, non si capisce se per sciatteria o perché ormai si dà per scontato di essere palesemente dalla parte del torto. In qualunque caso siamo in presenza di una latitanza che sconcerta sia per la scelta di non prevedere a monte i finanziamenti necessari per soddisfare i bisogni espliciti delle persone, sia per l’atteggiamento rassegnato di fronte ai ricorsi contro i diritti lesi.