Le contraddizioni dell'Ulivo sulla scuola.
di Tommaso Palermo, da
www.lafabbricadelprogramma.it
pubblicato su
Foruminsegnanti.it,
26 ottobre 2005
Nel 1996 Prodi dava grande risalto alla
questione della scuola, come elemento centrale per migliorare la
società. Poi al governo arrivò Berlinguer con la consulta dei 240
saggi, ma non si riuscì ad individuare le "cose" (i saperi) sulle
quali strutturare la riforma. L'urgenza di arrivare comunque ad una
riforma, realizzandola anche in modo da conseguire risparmi economici,
spostò tutta l'attenzione sul "metodo": gerarchia e carriera per i
docenti, autonomia e concorrenza tra gli istituti, imposizione di
metodi pedagogici ritenuti più efficienti. La centralità dei percorsi
didattici, delle tassonomie, delle docimologie e la sviluppo di queste
tecniche astratte nelle SISS hanno prodotto un impoverimento della
relazione umana maestro-allievo.
Così la scuola diventò il tallone di Achille del governo Prodi. Sarà
così anche in futuro? cosa è cambiato da allora? Nell'opuscolo "per
far ripartire l'Italia" Prodi parla di scuola in modo marginale per
dire che "dopo dieci anni di riforme e controriforme è giunto il
momento di mettere ordine e dare stabilità, valorizzando appieno
l'autonomia degli istituti e il ruolo degli insegnanti". Non si dice
altro e ciò fa pensare che forse non si è riflettuto sugli errori del
passato.
L'autonomia didattica ha creato confusione, conflittualità e
instabilità ed è stata la premessa indispensabile per offrire la
scuola alla disgregazione della devolution e agli appetiti di profitto
imprenditoriale. L'autonomia amministrativa ha poi lasciato le scuole
senza risorse perché "gli sponsor" privati non arriveranno mai e la
concorrenza ad accaparrarsi le iscrizioni riduce la qualità
dell'insegnamento.
La gerarchizzazione tra i docenti non ha creato stimoli, ma ha solo
cancellato quel senso di parità e collaborazione che è la base per un
clima sereno di cui la scuola ha bisogno. L'aziendalizzazione ha
estraniato i Presidi dalle attività didattiche e la paura del
licenziamento ha diffuso tra i docenti un senso di incertezza e
talvolta un'urgenza di trovare alternative che li distoglie dalla loro
funzione educativa.
Se a questa crisi del sistema scolastico si aggiunge l'impatto di
generazioni educate da una TV che esalta il gioco al massacro (le
squallide competizioni dei reality show, lo spettacolare furore del
Wrestling, le penose contese sentimentali di "Al posto tuo" o di
"Uomini e donne", l'ostentato opportunismo degli affari politici ed
economici di cui si mette sempre in risalto il peggio) e supplisce
così ad una generale mancanza di educazione familiare si ottiene il
quadro completo dell'agonia della scuola italiana.
Da dove ripartire? Io credo che si debba ripartire dalle "cose" che
bisogna insegnare. Per fermare la rapida dissoluzione del sistema
scolastico occorre sospendere la devolution e l'autonomia scolastica e
rinviare ogni decisione riguardante i cicli scolastici e le relative
etichette.
I contenuti, le "cose" sono gli elementi centrali dell'educazione ai
valori umani e civili, le "cose" sono le basi della conoscenza (al
singolare!) nella certezza dei percorsi scolastici sia per i docenti
che per gli studenti. Occorre un progetto di cui si devono far carico
anche i palinsesti televisivi e anche le politiche sociali sulla
famiglia. Poi, accanto ad una rinnovata solidità dell'istituzione
scolastica (perché la scuola è un'ISTITUZIONE, non un servizio tra i
tanti!) si potranno inserire anche elementi di autonomia e
sperimentazioni di metodo.
Mi sembra di poter ritrovare questa esigenza nella gran parte dei
contributi qui pubblicati, nelle opere di Lucio Russi, Marco Lodoli e
Paola Mastrocola, nel lavoro di gruppi che hanno sviluppato attenzione
alla logica dei saperi (la didattica breve del prof. Ciampolini) o
hanno curato l'importanza delle relazioni soggettive (Autoriforma
gentile). Mi sembra di ritrovare questa esigenza negli articoli di
Mario Pirani che sa cogliere con grande chiarezza i problemi più
rilevanti. Invece nel programma dell'Ulivo trovo soltanto il
preoccupante e paradossale intento di "mettere ordine e dare
stabilità, valorizzando appieno l'autonomia degli istituti". Ancora
più preoccupante è poi il giudizio di "ottimo" dato nel 2003 alla
riforma Moratti dalla commissione europea guidata da Prodi (se ne
vanta la stessa Moratti sul Magazine del Corriere della Sera del 13
ottobre 2005).