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Ancora sull'istruzione

come bene economico.

di Antonio Gasperi, dalla Gilda di Venezia, 27/11/2005

 

Il prof. F. Delbono, in una intervista curata e pubblicata da Renza Bertuzzi su PD del settembre scorso, dice in sintesi che l'istruzione, non possedendo le caratteristiche di assenza di rivalità ed escludibilità nel consumo, tipiche dei beni pubblici, potrebbe in teoria essere fornita dal mercato, ma viene invece prodotta dallo Stato in base a una scelta di valori. Non sono sicuro che sia impossibile una situazione educativa caratterizzata da assenza di rivalità in cui - per usare le parole del Professore - più soggetti possono godere contemporaneamente del "bene istruzione" senza ridurre l'utilità che essi traggono dal suo consumo. In altre parole mi sembra che ad esempio una didattica ispirata all'apprendimento cooperativo sia imperniata proprio sul "godimento contemporaneo" delle pratiche di lavoro condiviso (peer learning, problem solving, brain storming ecc. ecc.) ma anche metodi didattici più tradizionali, ricompresi nel cd. lavoro d'aula, prevedono che l'intera classe "goda" della lezione frontale del prof. Ovvio che se il docente è in II B non può essere contemporaneamente in III A, ma se ciò significa rivalità nel "consumo di istruzione" tra le due classi, allora bisognerebbe dire che siccome anche il giudice non può celebrare contemporaneamente due processi, pure il godimento del bene giustizia - bene pubblico per eccellenza - presenta caratteri di rivalità nei confronti dei gruppi di persone che si aspettano una sentenza nel merito. L'unica situazione di effettiva rivalità nell'istruzione che mi riesce di immaginare è quella del precettore: un insegnante che segue un solo alunno.

Ma non è tutto, perché anche a riguardo all'assenza di escludibilità che - sempre secondo la definizione del Professore - è quella situazione in cui "quando un bene viene reso disponibile per qualche consumatore non è possibile, o non è conveniente dal punto di vista economico, escludere altri consumatori dai benefici che il godimento del bene arreca", avrei qualcosa da dire: l'unico modo per escludere totalmente un certo numero di alunni "consumatori" dal "bene istruzione" è quello di espellerli dall'aula! Altrimenti mi pare ovvio che starà a ciascun componente della classe decidere se "godere" o meno della lezione . . .

E così arriviamo al punto a mio parere più pericoloso del ragionamento economico, che dall'analisi microsistemica (il singolo bene, ossia il singolo segmento d'istruzione, che sia esso classe, gruppo di livello, di lavoro o quant'altro) salta improvvisamente al livello macrosistemico: l'istruzione (e la sanità) - nonostante non siano beni pubblici - sono però essenziali per il benessere collettivo tanto che "lo Stato interviene in maniera rilevante per la loro erogazione, finanziandoli attraverso la fiscalità generale". Scelta politica quindi, avulsa da criteri di economicità? No, io dico, perché riprendendo il filo dei criteri che definiscono i beni pubblici, è proprio chi eroga il servizio di istruzione che può decidere di renderla escludibile, ossia può rendersi conto che è diventato conveniente da un punto di vista economico escludere fasce di cittadini dal suo accesso, con buona pace del principio di universalità dell'istruzione (fu) pubblica!!!

Altro ci sarebbe da dire a proposito del conflitto fra diritto al successo formativo ed efficacia dell'istruzione intesa però come processo, il che ci porterebbe alla delicata questione dell'indispensabile selettività di curricola studiorum realmente incisivi. E questo ci farebbe tornare in mente che una volta si parlava di istruzione come bene meritorio, in quanto portatore di esternalità positive nella società, sostanzialmente in termini di lavoratori in possesso di una solida preparazione di base (e tecnica). Infine ci ricorderemmo che una volta l'intervento pubblico nel settore dell'istruzione era necessario, perché nessun altro (a parte le congregazioni religiose) si sarebbe sognato di dispensarla. E questa non era forse sussidiarietà? Evidentemente adesso l'intervento pubblico - che si vuol considerare politicamente sussidiario - viene percepito come molto meno necessario, ma ciò non autorizza secondo me ad assimilare l'istruzione - nemmeno da un punto di vista della teoria economica - ad una qualsiasi merce. In realtà, come ho cercato di mostrare in precedenza, se proprio vogliamo assimilare l'istruzione ad una merce, dobbiamo considerarla un bene molto particolare, un bene "esperienziale" con marcati aspetti di tipo "fiduciario": solo in questo modo possiamo trattarla con tutta la dovuta "delicatezza".