L'idea di Berlusconi (portare a 68 anni l'età per lasciare il lavoro)
non trova consensi fra gli alleati
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Pensioni, Fini “boccia” il premier.

 Tfr, Maroni va al braccio di ferro in Consiglio dei ministri.

Nuccio Natoli, La Gazzetta del Sud di domenica 6 novembre 2005

 

ROMA – «Le pensioni non si toccano». È sempre più solo il presidente Berlusconi sull'idea di portare a 68 anni l'età della pensione. Lo stop di giornata è venuto dal vicepremier, Gianfranco Fini e in toni ultimativi: «Non è ipotizzabile aumentare l'età della pensione. A Berlusconi dirò che noi (cioè An , ndr) non siamo d'accordo. Una cosa è lavorare 30 anni in attività usuranti, un'altra è farlo per 30 anni dietro una scrivania». Alla carica è tornato pure il ministro del Welfare, Maroni che dopo aver ribadito «il capitolo è chiuso», ha sostenuto che ci sono due modi per aumentare l'età pensionabile. «Uno è brutale, per legge, sul quale abbiamo già dato (i 40 anni di contributi e i 65 anni di età dal 2008 , ndr), l'altro è morbido come l'incentivo del superbonus per ritardare il pensionamento.

I dati dell'Inps confermano che questa è la strada giusta». A questo punto il quadro nella maggioranza è chiaro. Maroni e Lega sono assolutamente contrari. I pochi dell'Udc (ad esempio, Tabacci) che ne hanno parlato si sono schierati con il ministro del Welfare. Fini e An hanno bocciato senza appello l'idea del Cavaliere. Resterebbe Fi che, però, ha fatto solo una difesa di bandiera del suo leader con Cicchitto: «Il presidente ha fatto solo un ragionamento, non aveva proposto l'aumento dell'età pensionabile». Quindi, la stoccata al ministro del Welfare: «Maroni ha perso un'ottima occasione per tacere, o parlare d'altro».

Fini non è stato citato, ma anche lui non ha taciuto. Insomma, la proposta più che morta, sembra addirittura sepolta. TFR . Ciò che, invece, continua ad agitare la maggioranza è il «capitolo Tfr» che della riforma previdenziale è uno dei tasselli fondamentali. Su questo aspetto il ministro Maroni è tornato a fare la faccia feroce anche ieri: «Non ci sono altre modifiche da fare alla legge sulle pensioni se non quella di attuare il Tfr». Anzi, il ministro ha annunciato che giovedì 10 presenterà al Consiglio dei ministri «lo stesso testo del 5 ottobre e, stavolta, forte del parere della commissione lavoro della Camera». A questo punto, quindi, non dovrebbero esserci più «obiezioni valide» per non dare il via libera alla riforma del Tfr. Il ministro, però, del tutto tranquillo non deve sentirsi se ha aggiunto: «Spero prevalga la linea della riforma e non quella degli interessi. Ormai siamo ridotti a questo in Consiglio dei ministri». E se gli «interessi» dovessero prevalere ancora una volta? «Le conseguenze sarebbero politiche», ha avvertito Maroni, anche se «non intendo fare nulla che comprometta il voto sulla devolution». In altre parole, Maroni, d'accordo con Bossi, sarebbe pronto a dimettersi da ministro, ma la Lega non uscirebbe dal governo. Se tutto andrà per come il ministro del Welfare si augura, la riforma del Tfr partirà dal primo gennaio 2006, e fino al 30 giugno ci sarà il periodo di silenzio-assenso entro cui il lavore potrà decidere se lasciare il Tfr in azienda, o a quale forma di previdenza complementare destinarlo. Se non esprimerà pareri (silenzio-assenso) il suo Tfr che maturerà da quel momento confluirà nel fondo «chiuso» integrativo della categoria di appartenenza.

BONUS, AL SUD NON PIACE. Maschio, residente nel Nord, impiegato di un'azienda industriale: è l'identikit di chi richiede in misura maggiore il bonus per il pensionamento posticipato secondo i dati dell'Inps aggiornati al 20 giugno scorso. Il numero di domande pervenuto è stato pari a 42.030, di cui 33.585 già accolte dall'Inps. Il 90% delle domande per il bonus (37.831) è stato presentato da uomini. Il 53,1% (22.297) ha riguardato i lavoratori residenti nel Settentrione; il 27,7% i residenti nelle regioni centrali; il 19,2% quelli del Meridione.