Una lingua oppure due?

La retromarcia della riforma.

A. Ser. da Il Messaggero del 29/11/2005

 

ROMA - Una lingua o due? Meglio concentrare gli sforzi sullo studio dell’inglese o aggiungere un secondo idioma, spagnolo, tedesco, francese, o altra lingua comunitaria? Saranno le famiglie e le scuole a decidere. Lo dice l’ultima circolare inviata agli istituti dal ministro dell’Istruzione. Le reazioni? Le scuole, che da anni lottano per affermare la loro autonomia, fortemente voluta, per di più sancita da una legge costituzionale, sono sempre pronte ad esercitare la loro «sovranità». Decidere in fatto di lingue non è facile.

Ma le scuole, nei mesi scorsi, hanno fatto sapere che valuteranno in rapporto alle «esigenze del territorio e alle esigenze delle famiglie». «E’ data facoltà alle famiglie che ne facciano richiesta di utilizzare per l’apprendimento della prima lingua anche una quota o l’intero monte ore della seconda».

In un primo tempo la riforma Moratti, in fase di discussione, aveva classificato la seconda lingua come «obbligatoria». Ora, con la circolare, l’ha invece declassata nella categoria della facoltatività. Due le ragioni: alla volontà di lasciare decidere alle scuole si aggiunge il fatto che non in tutte le regioni c’è un numero sufficiente di docenti specializzati. Soprattutto al Sud ci sono carenze. Abbandonare il concetto di obbligo, non c’è dubbio, costituisce un indebolimento. Un indebolimento che ha comunque generato preoccupazioni tra i docenti di francese, tedesco e spagnolo che temono di perdere posto.

In realtà, dicono i presidi, il bilinguismo esiste da oltre dieci anni e si è progressivamente esteso. Nelle realtà dove è stato istituito si è consolidato e funziona a gonfie vele.